La Turchia e l’Africa

08/10/2021

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Da oltre un decennio la Turchia persegue un piano di espansione della propria influenza culturale ed economica presso i popoli che per secoli furono sudditi dell’Impero ottomano e ne hanno un buon ricordo, dall’Asia Centrale all’Africa Occidentale. Gli obiettivi turchi sono in primis di natura economica: aver accesso alle risorse energetiche e minerarie di quei paesi e ai loro mercati di vendita dei beni di consumo di massa.

Ma c’è anche una ragione strategica per l’espansione turca in Africa: l’importanza politica della Turchia, che garantisce il rispetto dei suoi interessi nazionali (sia economici sia di sicurezza) da parte degli altri paesi, è il suo controllo del Mar di Marmara, del Bosforo e dei Dardanelli, cioè delle vie di comunicazione fra i paesi che si affacciano al Mar Nero, sia sul versante europeo che su quello asiatico, e il Mar Mediterraneo, dal quale si possono raggiungere gli oceani, grazie al canale di Suez e al canale di Gibilterra. Ma il controllo del passaggio fra il Mediterraneo e il Mar Nero non è né totale né certo: la Grecia ha una miriade di isole lungo quel percorso, potrebbe bloccarlo in caso di ostilità. Non sono sotto controllo turco neppure Suez e Gibilterra. La flotta navale turca è modesta, anche se Erdogan ha avviato un processo di ristrutturazione e rafforzamento, non reggerebbe un confronto sui mari.

I Turchi sentono la necessità di avere molti paesi amici lungo le coste che del Mediterraneo, del Mar Rosso e dell’Atlantico, per avere molte vie di accesso al resto del mondo. La Turchia è uno dei pochi territori del Medio Oriente privo di idrocarburi, dunque ha la necessità di avere sicuramente accesso a fonti diversificate di acquisto di energia. Perciò la Turchia ha attuato a lungo una politica di sostegno ai governi islamisti repubblicani del Nordafrica, ma con scarsi risultati visto che i governi sorti dalle rivolte arabe del 2011 hanno perso il potere ovunque, in favore di regimi che basano la loro legittimità su altro, non sulla Sharia. 

Né sembra avere miglior sorte per ora la politica turca nel Corno d’Africa, dove Ankara sta tentando di riportare in vita l’antico porto ottomano di Suakin, ma il governo del Sudan ha bloccato la firma dell’accordo. La Turchia ha fatto e sta facendo grandi investimenti in Etiopia, perciò si è presentata come mediatrice fra Etiopia e Sudan nella loro recente controversia di frontiera, ma Addis Abeba ha rifiutato l’offerta turca.

La Somalia è per ora il paese in cui la politica turca ha avuto maggior successo. La Turchia ha mandato massicci aiuti alimentari alla Somalia nella carestia del 2011, nel 2017 ha aperto una propria base militare a Mogadiscio per addestrare l’esercito somalo, ha basi in tutti i porti e aeroporti della Somalia.

Ma l’economia turca è in crisi, danneggiata anche dalle sanzioni imposte dall’UE dopo l’aggressiva posizione turca relativamente ai giacimenti sottomarini di gas e petrolio attorno all’isola di Cipro. Anche i rapporti con gli USA non sono del tutto sereni dopo che Erdogan ha arrestato un funzionario americano con l’accusa di agire a favore del partito rivale, dichiarato fuorilegge. 

Qui entra in gioco il Sahel, soprattutto il Niger, la Mauritania e il Burkina Faso, dove la Turchia trova facilmente gruppi locali con cui stringere alleanza, fornendo loro armi, addestramento militare e beni di consumo in cambio di risorse minerarie. In questo gioco gli interessi turchi si scontrano spesso con quelli di USA, Francia, Inghilterra, Russia e Cina. Per accaparrarsi i contratti la Turchia fa affidamento sulla comune fede islamica, soprattutto sul comune fondamento islamista del potere politico e dell’organizzazione sociale. A questo scopo costruisce in questi paesi un gran numero di moschee e di ospedali per la popolazione. 

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