La necessaria evoluzione politica degli stati arabi

17/10/2020

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Con la costituzione della Lega araba nel 1945 è nato lo ‘stato arabo moderno’ dal punto di vista politico. Che cosa lo ha caratterizzato da allora ad oggi? La predominanza di ristrette élite religiose, militari e aristocratiche che co-gestiscono il potere dello stato, con esclusione della massa della popolazione. Il potere statale vi controlla anche le istituzioni religiose, sopprimendo le correnti di opposizione sia in campo religioso che in campo politico. Religione e politica peraltro non sono separate: il mondo arabo non ha sviluppato o accettato il concetto di laicità delle istituzioni, anche se ha accettato la molteplicità di religioni all’interno dello stato. Ogni gruppo religioso ha una propria gerarchia istituzionale, l’islam sunnita ha una gerarchia che gestisce anche il sommo potere statale.

I capi degli stati arabi hanno sempre professato pubblicamente la loro adesione alla legge islamica e alla solidarietà panaraba, però il contesto geopolitico internazionale li ha obbligati e li obbliga a frequenti compromessi per la salvaguardia del potere, e ogni compromesso apre nuove possibilità che all’interno si sviluppino correnti di opposizione fra i cittadini che vedono deluse le aspettative alimentate dallo stesso potere statale. Il panarabismo non è mai stato molto più che un’ideologia di facciata; la maggioranza delle iniziative politiche e militari lanciate dalla Lega araba o non hanno avuto seguito o hanno avuto esito negativo, basti pensare a quelle per la Palestina o per lo Yemen, o all’incapacità di affrontare la crisi dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq.

Le reazioni degli stati arabi al comportamento dell’Iraq di Saddam è un caso esemplare della dicotomia fra le necessità geopolitiche e l’ideologia professata per le masse: la Lega araba non trovò l’accordo per condannare l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, benché molti capi di stato (primi fra tutti Mubarak in Egitto e il Re saudita) ne volessero la condanna, perché le masse arabe in ogni paese erano pro Saddam e consideravano il Kuwait la foglia di fico dell’egemonia americana sulle risorse petrolifere della regione. Quando a gennaio 1991 iniziò l’Operazione Desert Storm, guidata dagli USA e appoggiata dai governi della maggioranza dei paesi arabi, Saddam reagì lanciando dozzine di missili SCUD contro… Israele (che non c’entrava niente), suscitando così l’entusiasmo delle masse arabe. Notevolissimo fu l’atteggiamento del governo siriano, che aveva mandato una divisione armata a sostegno dell’Operazione per liberare il Kuwait dalle truppe di Saddam. Saputo dell’attacco di Saddam a Israele, il Ministro della difesa siriana si inginocchiò e organizzò una preghiera di pubblico ringraziamento, proprio mentre le sue truppe stavano ufficialmente combattendo Saddam!

I leader arabi dovranno ora fare assurdi salti mortali per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’accordo di normalizzazione dei rapporti con Israele: dovranno sostenere che è il miglior passo per il bene dei Palestinesi stessi. Per altro l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti in India ha recentemente descritto la decisione del governo indiano di togliere l’autonomia al Kashmir (a maggioranza musulmana) come un grande passo avanti passo verso la pace; l’Arabia Saudita ha firmato protocolli di collaborazione economica con la Cina senza una parola di critica verso la dura politica cinese nei confronti degli Uiguri musulmani.

Gli Arabi crescono nella convinzione che i musulmani formano una comunità solidale di fedeli (la umma), al di là di ogni differenza geografica e sociale, eppure nessuno stato arabo ha dato rifugio ai Rohingya musulmani in fuga dal Myanmar. L’Arabia ha incarcerato e respinto tutti quelli che sono riusciti a raggiungere le sue coste.

La discussione sul ruolo dell’islam nella gestione dello stato e sulla protezione dovuta dalle istituzioni statali anche ad altre popolazioni islamiche è ormai al centro del pensiero politico arabo. Il timore è che le istituzioni che hanno retto i paesi arabi dal 1946 in poi possano crollare, con effetto domino, perché non rappresentano più i paesi reali. È quello che parve accedere con l’ondata di ‘primavere arabe’ del 2011, ma ovunque gli oligarchi sono riusciti a riprendere il potere. Non è detto però che riescano a mantenerlo a lungo, se non trovano il modo per allargare la base del consenso e della legittimazione del loro operato. 

La discussione sul ruolo dell’islam nella gestione dello stato è ormai al centro del pensiero politico arabo. Le istituzioni sorte dal 1946 in poi rischiano di crollare perché non rappresentano più i paesi reali

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