Salvare l’Italia: come fare?

01/06/2020

L’Unione Europea ha mosso un passo in avanti, spinta dal timore di reazioni popolari eccessivamente negative all’emergenza economica causata dalla pandemia di coronavirus. Per la prima volta la Commissione e la maggior parte degli stati membri accettano ora il principio di offrire una garanzia comune ai mercati a fronte di debiti contratti in comune. Il debito verrà contratto per finanziare iniziative che saranno gestite dai singoli stati, in base a criteri che sono ancora oggetto di discussione, così come l’ammontare totale del debito da contrarre.

Non è un passo in avanti di importanza davvero rilevante per il futuro, se non dal punto di vista psicologico. Accontentiamoci. Sarebbe davvero rilevante attribuire all’Unione nuove competenze, ad esempio sulla gestione delle frontiere esterne, sulla creazione di una difesa comune, o sulla comune salvaguardia dell’ambiente, sulla costruzione di infrastrutture strategiche, sulle emergenze sanitarie pandemiche. Importantissima sarebbe soprattutto l’armonizzazione delle aliquote fiscali e dei contratti di lavoro, che costituirebbe il passo decisivo per la creazione di una unione politica, che però a quanto pare nessun governo e nessun popolo vuole davvero. Dovremmo smetterla di lamentarci delle ovvie lacune di un’Unione che nessuno vuole davvero portare all’integrazione politica e militare, salvo riempirci la bocca di retorica europeista o antieuropeista.

Ma che faremo con gli aiuti o i prestiti che noi Italiani riceveremo e che così ardentemente sollecitiamo? L’Italia è in crisi da trent’anni, non da qualche annetto. La nostra base industriale è stata ridotta dalla concorrenza prima dell’est europeo poi della Cina, la nostra competitività in campo economico è modestissima. Il nostro territorio frana o si allaga ogni volta che piove, le nostre infrastrutture crollano per carenza di controlli e di manutenzione, i collegamenti ferroviari e aerei sono inadeguati alle esigenze, la banda larga digitale non è a disposizione che di metà popolazione. Lavoriamo poco, abbiamo una popolazione molto vecchia, si elargiscono sussidi o pensioni a una percentuale altissima di popolazione, anziché fornire a tutti occasioni di lavoro. I giovani più in gamba emigrano.

Eppure di lavoro ne avremmo tantissimo da fare per porre rimedio a tutte le nostre lacune. La rigidità dei contratti collettivi nazionali impedisce di adeguare il mercato del lavoro alle necessità o possibilità locali o settoriali. Le scuole funzionano a macchia di leopardo e hanno un carico di lavoro burocratico soffocante, che toglie tempo e risorse all’insegnamento. La medicina territoriale ha mostrato le sue gravi carenze proprio in occasione della pandemia ancora in corso: medici e ambulatori sono troppo pochi.

Da dove incominciare a salvare l’Italia? Quali sono le priorità? Le priorità paiono tre:

-          creare lavoro investendo nell’ammodernamento delle infrastrutture e nella messa in sicurezza del territorio. Si tratterebbe non di costi, ma di investimenti in lavori pubblici, che potrebbero essere finanziati a debito senza troppi timori, perché nel tempo avrebbero una ricaduta largamente positiva sul PIL e alimenterebbero un incremento di gettito fiscale significativo;

-          sostenere la maternità e l’educazione dei bambini e dei giovani. Potenziare la scuola, l’Università e la ricerca, ma aprire anche asili nido e scuole materne che permettano a chi vorrebbe aver figli di poterli allevare ed educare senza dover rinunciare al lavoro né spendere una fortuna per pagare educatori privati. Perché le donne non fanno sentire la loro voce in modo costruttivo su questo argomento? Perché non esigono che fare e allevare un figlio venga riconosciuto come un lavoro socialmente utile (anzi, il lavoro più utile che esista, che sia mai esistito e che mai esisterà nella storia umana) che va ricompensato o con un sostegno economico o con servizi adeguati?

-          ridurre drasticamente le pratiche burocratiche in tutti i settori, per tutti gli scopi. Prendere esempio dalla burocrazia inglese o da quella francese per snellire e migliorare tutte le procedure nelle amministrazioni pubbliche e in tutti i servizi pubblici. Non dobbiamo inventarci sistemi inediti e rischiosi, basta imitare i modelli migliori. Questo toglierebbe a decine di migliaia di dipendenti pubblici posizioni di piccolo potere da poter sfruttare per vessare cittadini e imprese e ricavarne qualche soddisfazione personale in più. Sarebbe un ottimo risultato, a costo zero per la collettività, e ridurrebbe le occasioni di corruzione. 

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