Ben Novak e la logica di Hitler

23/12/2019

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Perché Hitler, proprio lui e non un altro, ebbe lo straordinario successo politico che sappiamo? Perché prevalse proprio lui e non uno dei molti altri abili politici e oratori all’interno della stessa area politica, nello stesso periodo e nello stesso paese? È la domanda che si pose Ben Novak nel 1967 scrivendo la sua tesi di laurea, riedita nel 2014 col titolo Hitler and Abductive Logic: The Strategy of a Tyrant, ora tradotta e pubblicata in italiano da Vincenzo Pinto per Freeebrei col titolo La logica di Adolf Hitler. Immaginazione, razionalità, politica. La risposta che Ben Novak si diede è che Hitler vinse perché si attenne in modo rigoroso a una sola ipotesi capace di spiegare tutto, secondo il principio della logica abduttiva. Raggiunto il potere, esercitò spietatamente la repressione del dissenso e la militarizzazione della società, ma prima di raggiungerlo insistette per dieci anni soltanto su quell’ipotesi, senza mai lasciarsi trascinare in altri tipi di discorsi, senza formulare programmi su singoli problemi specifici.

La logica abduttiva è il processo mentale tipicamente usato dalla scienza, dalla ricerca e dai grandi detective della letteratura moderna. Parte dallo stupore nell’osservare una realtà percepita come stridente rispetto alle aspettative o alle previsioni (ad esempio durante una crisi), che perciò ci pone interrogativi. Se nello stesso tempo o nello stesso spazio osserviamo altri fenomeni reali e ci chiediamo se ci potrebbero essere legami di causa ed effetto, o di reciproca influenza fra i diversi fenomeni, possiamo iniziare a formulare ipotesi sui possibili legami. È quello che fanno celebri detective immaginari come Sherlock Holmes o Poirot, che giungono a rivelare una trama occulta che soltanto la loro mente straordinariamente logica e straordinariamente spregiudicata ha saputo concepire, a partire dall’osservazione di minuscoli dettagli. Anche i grandi scienziati innovatori formulano ipotesi ardite e nuove, sconvolgendo il senso comune, ma verificano sempre empiricamente le loro ipotesi prima che diventino tesi. Nel XX secolo la politica offrì le ipotesi come verità e dove riuscì a convincere abbastanza concittadini raggiunse ed esercitò il potere. L’esercizio del potere costituì la verifica o la smentita di quelle ipotesi, portando allo sviluppo o al crollo le società che le abbracciarono. La Germania nazista e la Russia comunista furono esemplificazioni di questi processi. La verifica dell’ipotesi nazista e di quella comunista sono costate molto all’umanità intera.

Dopo la Prima guerra mondiale i Tedeschi vissero tutta una serie di situazioni traumatiche e inaspettate: la sconfitta in un conflitto che fino a pochi giorni prima sembrava dovesse concludersi con una vittoria, l’imposizione di insostenibili sanzioni da parte di vincitori che si dicevano disposti equilibrati e clementi, lo sfacelo del paese, i milioni di morti come topi in trincea. E proprio quando la ripresa pareva finalmente avviata, la Grande depressione del 1929 gettò di nuovo il paese nella disperazione. I Tedeschi si chiedevano il perché di tante impreviste disgrazie, non capivano che fare. La risposta di Hitler fu un’ipotesi che avrebbe potuto spiegare tutto: c’era una cospirazione sia internazionale sia domestica contro i Tedeschi, al centro del quale c’erano gli Ebrei. Altri politici offrirono risposte articolate, diverse per ogni diverso evento, le offrirono con sapienza oratoria e con proposte di contromisure, con programmi concreti di azione. Ma appena un problema veniva chiarito e affrontato ne appariva all’improvviso un altro. Per dieci anni Hitler rifiutò caparbiamente di presentare programmi specifici, rifiutò di analizzare i singoli eventi, continuò sempre e soltanto a ripetere che contro la Germania c’era un complotto potente che assumeva mille aspetti diversi, spesso contradditori fra di loro, ed era ordito dagli Ebrei. All’inizio questa tesi non fu presa sul serio dai Tedeschi, ma dopo dieci anni di crisi e di tragedie e dieci anni di martellante offerta di una sola semplice spiegazione per tutto, circa il 44% dei Tedeschi finì col votare per Hitler. Nel discorso ai membri del Partito dopo le elezioni del 1933 Hitler spiegò esplicitamente che ‘essere Tedeschi significa essere logici’ e che la logica era l’essenza della sua visione del mondo. Un tipo di logica che il saggio di Novak rivela plasmata dalla lettura appassionata e costante dei romanzi d’investigazione, soprattutto quelli di Karl May, l’autore tedesco che ha venduto il maggior numero di copie nel XX secolo, autore del ciclo di Winnetou. Il giovane Hitler si alimentò avidamente di tali letture e in quanto leader politico si pose esplicitamente come il personaggio di Old Shatterhand nei romanzi di May.

In Italia soltanto Umberto Eco citò la tesi di Novak e si interessò alla logica abduttiva dei romanzi di investigazione. Dopo di lui questo filone di ricerca fu dimenticato, ma ora la pubblicazione di Novak in italiano le dà nuova vita. Tanto più che la rapida affermazione di movimenti ‘populisti’ che propongono la corruzione e la cospirazione dei ‘poteri forti’ come causa comune dei nostri mali economici e sociali rende di piena attualità l’analisi di come funziona la propaganda politica basata su ipotesi semplicistiche ma che sembrano spiegare tutto, se si è disposti a crederlo.

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