L’identità nazionale indiana dal passato al futuro

23/05/2019

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La parola "indù" non esisteva fino all’arrivo degli stranieri, prima persiani poi europei. All’inizio il termine non descriveva una religione, ma indicava le popolazioni non turche che vivevano a est del fiume Indo. Man mano che gli occidentali diventarono più familiari con il territorio, la parola venne utilizzata per descrivere i caratteri ricorrenti delle religioni dell’Asia meridionale.

Nel moderno concetto di nazionalismo indù, è indù chiunque risieda in India e consideri l’India la propria patria. Responsabile dello sviluppo e della divulgazione di questa versione del nazionalismo indù è Vinayak Damodar Savarkar, ateo autoproclamato. Per Savarkar, il termine "Hindu" descrive un’identità etnica, politica e culturale piuttosto che religiosa. La sua definizione di "Hindutva" come ideologia nazionalista della cultura indù consente l’inclusione di buddisti, giainisti e sikh, ma esclude musulmani e cristiani, considerati aderenti a culture estranee. Egli immaginò una nazione ("Rashtra") fondata sull’Hindutva. La richiesta di uno Stato Hindu Rashtra (completamente indù) ha quindi posto le basi per il moderno nazionalismo indù, rappresentato oggi dal BJP (Bharatiya Janata Party).

Il governo dell’attuale primo ministro Modi sta centralizzando sempre più il potere e sostiene una legge sulla cittadinanza che favorisce l’immigrazione e la concessione di cittadinanza per gli indù, lasciando altri gruppi ai margini della società

Verso la metà degli anni ’90 il BJP sviluppò larghi consensi, mentre l’INC (INDIA National Congress) si indebolì per non aver dato risposta agli interrogativi posti dall’Hindutva, oltre che per i molti conflitti interni. L’ascesa del BJP è culminata nella vittoria elettorale di Modi nel 2014. L’alta inflazione, la disoccupazione e la corruzione avevano deluso gli elettori. Il BJP corteggiava invece gli scontenti e le caste e le sottoculture precedentemente escluse dalla struttura di potere, che vedevano nel governo dell’INC un sistema che proteggeva le minoranze a spese delle maggioranze.

Nonostante il successo elettorale del BJP, l’idea di un’identità nazionale inclusiva e non religiosa, basata su un passato condiviso, considerato come originario indù, è ancora altamente controversa. L’induismo (e le sue derivazioni) è ormai largamente considerato una religione, il che rende estremamente difficile separare l’identità religiosa da quella socio-politica. Il sistema delle caste è ancora vivo e vegeto in India e, anche se esistono misure legali per mitigare il suo uso, molte persone si identificano ancora strettamente con la propria casta. È ancora difficile ottenere un ampio consenso per un’identità nazionale più vasta e condivisa, specialmente là dove le minoranze hanno sofferto per mano della maggioranza indù e quando questa ideologia ha storicamente escluso musulmani e cristiani.

Il governo dell’attuale Primo ministro Modi sta centralizzando sempre più il potere e persegue l’Hindutva sulla base di politiche esclusive; i siti storici sono stati ribattezzati con nomi indù e il governo sostiene una legge sulla cittadinanza, ampiamente contestata, che favorisce l’immigrazione e la concessione di cittadinanza per gli indù, lasciando altri gruppi ai margini della società.

Il peso dell’India negli affari mondiali sta crescendo. È già la settima maggiore economia del mondo, con tassi di crescita superiori a quelli della maggior parte degli altri paesi. L’India svolge un ruolo strategico fondamentale nel contenimento della Cina, nella protezione delle rotte del petrolio e di tutte le rotte mercantili dell’Oceano Indiano, ed è il perno della stabilità dell’Asia centrale e meridionale. Per sfruttare l’importanza geostrategica della sua posizione, l’India deve agire come entità politica coesa, non come una confederazione instabile di regioni varie. Per questo è augurabile che la politica del BJP abbia successo: se l’India si frazionasse o cadesse nella guerra civile sarebbe un disastro di ripercussioni globali.

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