Tripoli non è ancora alla resa

13/04/2019

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L’offensiva del generale Khalifa Haftar su Tripoli è in stallo. Haftar guida la Libyan National Army (LNA), che occupa la massima parte del territorio libico e la quasi totalità degli impianti petroliferi, ma non ha il pieno controllo dell’azienda statale che gestisce l’esportazione del petrolio, la National Oil Corporation (NOC) e soprattutto non ha il controllo della Banca Centrale Libica (CBL), alla quale arrivano tutti i ricavi. La sede del NOC e la CBL sono a Tripoli, sotto il controllo del Governo provvisorio di Unità Nazionale (GNA) guidato dal presidente Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale. Il GNA può contare su di un fragile e modesto esercito, ma soprattutto sulle milizie di Misurata, forze irregolari che però ebbero un ruolo di primo piano nel rovesciamento di Gheddafi e, più recentemente, nella sconfitta dello Stato Islamico in Libia. Con i ricavi del petrolio la Banca Centrale paga gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, anche di quelli nelle aree che sono sotto il controllo dell’esercito di Haftar, e paga apertamente anche le milizie di Misurata per il ruolo che hanno nella guerra all’ISIS.

L’offensiva di Haftar vorrebbe risolvere la questione, sconfiggendo le milizie di Misurata (che però sono molto agguerrite) e togliendo il controllo sia della National Oil Corp. sia della Banca Centrale al governo provvisorio. Da tempo Haftar cerca di far sì che i contratti per l’esportazione del petrolio dai terminali del golfo della Sirte siano stipulati dai clienti stranieri direttamente con la sede di Bengasi della NOC – sotto il suo pieno controllo − anziché con la sede centrale a Tripoli, ma con scarso successo, soprattutto perché i pagamenti debbono comunque passare attraverso la Banca Centrale a Tripoli, l’unica ufficialmente riconosciuta dalle banche centrali degli altri paesi del mondo. 

Finché i ricavi del petrolio arrivano tutti alla Banca centrale di Tripoli, che le usa per pagare − o non pagare – i dipendenti pubblici e le milizie anche nella aree fisicamente sotto il controllo di Haftar, il potere effettivo di Haftar rimane limitato e zoppo. Per questo ha lanciato l’offensiva contro Misurata e Tripoli, che potrebbe diventare una lunga fase di guerra civile.

La guerra civile in Libia ha spesso provocato improvvise e drastiche riduzioni delle quantità di petrolio prodotto ed esportato, mettendo in difficoltà le aziende concessionarie e i paesi acquirenti, prima di tutto l’ENI e l’Italia. Ad agosto 2016, ad esempio, l’export fu quasi completamente bloccato dall’ammutinamento delle guardie armate addette alla sorveglianza degli impianti e dei terminali del Golfo della Sirte, che volevano per sé una quota importante dei ricavi. Allora fu l’intervento di Haftar a riaprire gli impianti e i terminali.

A gennaio 2019 Haftar lanciò un’offensiva nella regione del Fezzan, dove operano bande armate islamiste che contrabbandano droghe, armi, esseri umani. L’offensiva era ufficialmente rivolta a liberare la regione da queste bande di ‘terroristi’, ma mirava soprattutto a ottenere il controllo fisico del giacimento di El Sharara, che da mesi non operava più perché anche lì si erano ammutinate le guardie, chiedendo nuovi investimenti e miglioramenti alle infrastrutture. Sotto Haftar il giacimento ha ripreso a estrarre ed esportare petrolio. Ora Haftar controlla quasi del tutto la produzione e la vendita di petrolio della Libia, ma tale potere è azzoppato dal fatto che per utilizzarne i proventi deve passare attraverso la Banca controllata dal governo di Tripoli.

Haftar potrebbe bloccare del tutto l’esportazione del petrolio libico, privando il governo provvisorio di ogni risorsa, e renderlo incapace di pagare stipendi e di far funzionare i servizi pubblici. Il governo cadrebbe. Nel frattempo Haftar e il suo esercito dovrebbero esser sostenuti da finanziamenti di altri paesi (ad esempio l’Arabia Saudita), pronti a sborsare molti miliardi di dollari. È estremamente improbabile che qualche paese decida di assumere un tale impegno e un tale rischio. Senza contare che Haftar sarebbe poi alla mercé dei suoi finanziatori, susciterebbe l’ira e il sospetto di molti compatrioti e subirebbe l’ostracismo della comunità internazionale. 

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