L’ordine liberale del mondo non è alla fine

07/09/2018

I principi dell’ordine democratico e liberale sono in crisi? È una domanda che spesso si pongono intellettuali e politici oggi. Secondo Rodger Baker, vicepresidente di Strategic Forecasting, la risposta è no, a meno che non si pretenda che tale ordine debba essere automaticamente esteso a tutte le società del globo, o si pensi che liberalismo e democrazia non possano subire modifiche per adattarsi alle circostanze.

Come disse Churchill, ‘la democrazia non è perfetta, è la peggior forma di governo – eccetto tutte le altre’. Che non sia perfetta è una fortuna: la si può variare e adattare meglio alle circostanze. E le circostanze nella storia variano costantemente – è ovvio. Perché stupirci? Se vogliamo capire gli avvenimenti del mondo reale non dobbiamo presumere che l’ordine politico liberale, così come lo conosciamo, sia il fine ultimo della storia, applicabile a tutte le società e a tutte le culture.

Oggi però possiamo dire che i principi dell’ordine liberale del mondo (libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci, rispetto dei diritti personali) sono davvero condivisi in tutto il mondo − dalle élite. È una questione di classe socio-culturale ed economica, oltre che di ambiente di vita: le grandi aree metropolitane, commerciali e imprenditoriali, condividono i principi liberali in quasi tutto il mondo. Hanno più facilmente opinioni (e interessi) comuni i cittadini di Londra, Shanghai e New York che gli abitanti di queste metropoli e i loro concittadini che vivono in piccoli luoghi di provincia.

L’ordine liberale del mondo così come è rappresentato dal WTO, dalla Commissione Europea o dall’ONU, presuppone che gli interessi regionali o nazionali cedano il passo a regole globali ritenute universalmente valide e universalmente applicabili per atto di fede. Lo scopo di tali regole è evitare o superare i conflitti, ma chiudendo gli occhi davanti alle differenze, ignorando la realtà dell’ineguale distribuzione delle risorse nel globo, la realtà della diversa evoluzione e struttura dei sistemi sociali e dei principi etici.

L’aspirazione quasi religiosa all’adozione di principi universali e ineluttabili è tipica dell’Occidente: si pensi alla diffusione del Cristianesimo, all’idea che la colonizzazione dell’intero globo fosse il ‘fardello dell’uomo bianco’, all’illuminismo. L’inseguimento di ideali universali ci rese spesso ciechi rispetto a molti aspetti della realtà. Il successo della globalizzazione e dell’ordine liberale a livello internazionale ci ha reso ciechi di fronte al fatto che non soltanto le opportunità di sviluppo non sono a portata di mano di tutti, ma da qualche decennio le classi medie andavano impoverendosi e assottigliandosi in alcune parti del mondo.

Halford Mackinder, fondatore della geopolitica come disciplina specifica, scrisse nel lontano 1919 che, se si fosse permesso alle grandi metropoli di assorbire tutte le teste migliori sottraendole alle comunità locali, sarebbe aumentata la divisione di classe, campagna e provincia avrebbero perso la possibilità di progredire, i giovani sarebbero emigrati (Democratic Ideals and Reality). E la crescita delle metropoli non avrebbe portato a un fioritura di idee diverse, bensì a una convergenza di pensiero, perché le élite avrebbero frequentato le stesse scuole, svolto le stesse professioni, sostenuto le stesse politiche. Perciò, osservava Mackinder, le stesse classi in nazioni diverse avrebbero finito col ritrovarsi dalla stessa parte, con conseguente frattura delle società in senso orizzontale. È esattamente quello che succede oggi, con la frattura fra globalisti e nazionalisti.

Ma la maggiore sfida all’ordine globale oggi ci giunge dalla Cina. Nel 1900 un geopolitico americano, Alfred Thayer Mahan, scrisse che prima o poi la Cina sarebbe tornata a essere una grande potenza unita ed economicamente forte. Speriamo che nel frattempo avrà assorbito i valori occidentali − diceva Thayer Mahan − perché una Cina rafforzata dagli strumenti economici e tecnologici dell’Occidente, ma lontana dai fini e dai principi che indirizzano le nostre azioni politiche e sociali, sarebbe un enorme pericolo per noi e per se stessa.

La struttura liberale del commercio globale ha permesso alla Cina, all’India, al sud est asiatico e all’America latina un grande sviluppo, ma oggi queste popolazioni si chiedono perché l’ordine globale debba essere guidato da un piccolo gruppo di paesi occidentali e da una manciata di principi adottati dalle élite occidentali. Non dobbiamo stupircene. La filosofia occidentale non è universale. La visione della storia come percorso verso la realizzazione di un ideale finale non è condivisa dalla cultura asiatica, che vede la storia come una serie di cicli.

È meglio che guardiamo la realtà, anziché illuderci che l’ordine liberale e democratico del mondo trionferà automaticamente. Se vogliamo farlo trionfare davvero, è bene che costruiamo il nostro percorso a partire da una visione disincantata della realtà. 

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