Francia, Italia e crisi dei migranti

02/07/2018

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Francesco Sisci, analista geopolitico esperto di Cina (e di politica vaticana), ha scritto (Settimana News del 28 giugno 2018) che oggi è la Francia, non la Germania o altri paesi dell’Unione Europea, ad aver il peso maggiore per l’evoluzione della ‘giovane ma già diroccata Unione Europea’. Ecco un estratto del suo articolo: ‘Nel breve è l’urgenza dell’immigrazione che sta spaccando il continente (l’Europa) e qui forse è dalla Francia che passano molte delle soluzioni.’ (….) L’ondata di emigrazione dall’Africa arriva in Europa dalla Libia principalmente, ma anche da Marocco e Algeria. In questi ultimi due paesi c’è ancora una forte influenza francese; in Libia francesi e italiani fanno a gara in zone di influenza.’

(….) È in Mali, Niger, Ciad che convergono (o meglio: vengono fatti convergere) i migranti dell’Africa nera. Questi paesi sono storicamente sotto l’influenza francese, anche se recentemente è arrivata anche una positiva presenza italiana che però non ha affatto scalzato quella francese.

È qui che andrebbe fermata l’onda dei migranti, prima che essi tentino di attraversare il Sahara sotto l’egida di carovanieri egiziani, oggi guide di migranti come mille, duemila anni fa mercanti di schiavi, il primo “oro nero”.

(….) L’ex ministro degli interni Marco Minniti aveva pensato di organizzare qui hot spot che regolassero i flussi, cioè raccogliessero domande di emigrazione e le accogliessero nei modi e nei tempi giusti.

 (….) Se i migranti sono tali alla fine del loro viaggio, cioè appena sbarcano entro il confine europeo, e la politica dei migranti è solo uno scaricabarile fra i paesi europei a chi si trova tra i piedi i migrati senza riuscire a smistarli (...) tutti i paesi sono in lotta sui migranti e a quel punto l’UE è già finita, molto prima delle dispute dell’euro o altro.

Nel medio periodo Parigi dovrebbe promuovere un piano di unificazione politica europea che sostenga questo impegno di sicurezza in Africa e nel Mediterraneo, cedendo il suo seggio permanente all’ONU all’UE. (…) Non è possibile che in Africa non esistano ferrovie e autostrade intercontinentali, che ci siano meno voli diretti tra paesi africani che non con Parigi o Londra’.

(….) D’altro canto, il flusso migratorio attuale è solo l’inizio di una marea inarrestabile se non viene canalizzato e controllato in tempo. Per il 2040 la popolazione africana potrebbe aggirarsi quasi sui 2 miliardi, ed essere quattro volte quella europea, con un livello di ricchezza però rovesciato: cioè, nonostante la crisi strisciante nel vecchio continente, un europeo potrebbe essere ricco in media oltre dieci volte più di un africano.

(….) Questi due semplici dati, l’aumento della popolazione e la differenza di ricchezza, dicono che il problema va affrontato di petto e che non ci sono né ci saranno sconti per l’Europa.

(….) In ciascuna di queste fasi è la Francia che ha un ruolo nodale’.

La Francia non sta facendo la sua parte? Sisci non vuol dire questo.

Abbiamo pochi studi sulle rotte dei migranti, ancora meno ne abbiamo sui migranti stessi: da dove vengono e perché hanno deciso di partire per un’avventura che rischia di finire tragicamente sul fondo del Mediterraneo. Però gli studi e le statistiche esistenti (pubblicati puntualmente da LIMES) dicono che le filiere che portano i migranti attraverso l’Africa Subsahariana sulle coste del Mediterraneo si intrecciano a quelle del narcotraffico e di ogni altro tipo di contrabbando, incluso quello delle armi, dell’uranio e della prostituzione. Questo significa che le migrazioni alla disperata sono prima di tutto l’effetto dell’inefficienza degli stati africani nel controllare la criminalità organizzata.

Nel medio periodo Parigi dovrebbe promuovere un piano di unificazione politica europea che sostenga questo impegno di sicurezza in Africa e nel Mediterraneo

Per questo lo scorso anno è stata decisa la missione G5 nel Sahel, cui non è stato dato molto rilievo, forse per timore di strumentalizzazioni politiche. Riprendiamo l’articolo di Francesco Semprini ‘Con l’esercito del Sahel contro jihadisti e trafficanti’ (La Stampa, 30 ottobre 2017): ‘Ha preso le mosse la missione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nella regione del Sahel per rilanciare il progetto del G5, «l’esercito del Sahel», che vede come protagonisti Mauritania (pioniere del progetto), Burkina Faso, Mali, Niger e Ciad. Uno sforzo voluto con forza dalla Francia, per i noti interessi che il Paese vanta nella regione, e sostenuto con vigore dall’Italia, specie perché inquadrato nel fenomeno della lotta al traffico di essere umani che dal «serbatoio saheliano» trova il suo sbocco naturale nella sponda sud del Mediterraneo. La missione in Sahel dell’ONU (che ha toccato Mali e Burkina Faso) è stata realizzata sotto la regia di Etiopia, Francia e Italia.’

( ….) ‘Il precipitare degli eventi seguiti all’inizio della crisi libica del 2011 e di quella maliana del 2012 hanno agevolato la proliferazione dei traffici illeciti in tutta la regione del Sahel. Oltre al dilagare della jihad, come confermano i tantissimi attentati che si sono succeduti negli ultimi cinque anni. Con la caduta del Califfato e la «jihadiaspora», il rischio è che vi sia una convergenza di gruppi vecchi e nuovi proprio nel Sahel. Il tutto con una sovrapposizione di traffici di armi, droga, esseri umani e uranio che favorirebbe la creazione di vere holding del crimine a 360 gradi. E con un punto di criticità strategica fondamentale, ovvero il Mali, forse l’anello più debole della catena subsahariana’.

‘La forza G5 prevede (…) l’impiego di 5.000 soldati e un quartier generale a Sévaré, nel Mali centrale. A comandare la forza è il generale di divisione maliano Didier Dacko. In una sua prima fase la missione prevede il dispiegamento di forze lungo i confini dei Paesi interessati, in una seconda l’impiego di unità di reazione rapida all’interno. Gli obiettivi sono militari ma accompagnati da interventi umanitari, istituzionali e di sviluppo per tutta l’area, secondo il principio del «prima si cura e poi si previene’.

Il G5 però non ha finanziamenti sicuri. Per il primo investimento iniziale di 423 milioni di euro ogni paese del G5 ha stanziato 10 milioni, l’UE 100 milioni, gli USA 49 milioni, l’Arabia Saudita 100 milioni, gli Emirati Uniti 30 milioni, la Francia e altri singoli paesi europei hanno contribuito per il resto. Ma ora non si sa come finanziare la missione su base annua.

Perché d’improvviso la cooperazione fra Francia e Italia sembra entrata in collisione? Soltanto perché è cambiato il governo e i nuovi leader vogliono ‘mostrare i muscoli’?

Un mito da sfatare è che la migrazione sia inevitabile conseguenza della povertà dell’Africa. L’Africa non è povera, è un continente ricco di risorse. Sono poveri gli Africani, per insufficiente sviluppo delle infrastrutture di base, per mancanza di progettualità, per cattivo governo… Noi Italiani ne sappiamo poco, ce ne interessiamo poco. A parte alcune organizzazioni private e religiose che si avvicinano all’Africa con un approccio caritatevole (da ex colonialisti penitenti ma pur sempre arroganti), noi Italiani tendiamo a considerare l’Africa un luogo lontano, che non ci riguarda. Ma la chiave del futuro dell’Italia è proprio nel ruolo che riusciremo ad avere nello sviluppo dell’Africa. Forse iniziamo a rendercene conto in queste settimane in cui vediamo sfrangiarsi le certezze di una nostra solida appartenenza ad un’Europa unita, solidale e sicura. 

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