Prezzi del petrolio, le dinamiche di base

15/06/2018

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Il consumo mondiale di petrolio dall’inizio del 2017 è superiore alla produzione. I prezzi perciò sono aumentati e hanno raggiunto il livello del 2014. Nel primo trimestre del 2018 il consumo mondiale è stato mediamente di 99.52 milioni di barili al giorno, la produzione di 98.71 milioni. L’aumento di consumo è avvenuto soprattutto in Nord America, Cina e India. La produzione potrebbe ulteriormente contrarsi per effetto delle sanzioni in Iran e dell’anarchia in Venezuela.

L’Iran produce circa 3.65 milioni di barili al giorno di greggio e ne esporta 2.4 milioni. La metà circa va in Cina e in India, paesi che non applicano le sanzioni imposte dall’Occidente, perciò è poco probabile che le sanzioni diminuiscano molto il flusso di petrolio sul mercato globale. Il Venezuela in aprile ha prodotto circa 1.4 milioni di barili al giorno. I disordini interni e la vetustà degli impianti rendono probabili ulteriori contrazioni di produzione fino a 500000 milioni di barili al giorno.

D’altra parte però gli USA e il Canada possono incrementare molto la produzione.

Gli USA producono circa 10.7 milioni di barili di greggio al giorno, di cui l’84% è olio di scisti. Il resto proviene dai pozzi nel Golfo del Messico. Secondo le previsioni degli esperti dell’EIA la produzione americana aumenterà di circa 3.10 milioni barili al giorno entro fine 2019. Il Canada nello stesso periodo incrementerà la produzione di 650000 milioni di barili al giorno, l’OPEC di 330000 milioni.

L’aumento di produzione non può avvenire in tempi molto brevi perché occorre scavare nuovi pozzi o riattivare pozzi chiusi quando i prezzi di mercato erano troppo bassi per guadagnarci. Inoltre gli oleodotti del Nord America già lavorano a capacità quasi piena, occorre ampliarne la portata, altrimenti si deve ricorrere al trasporto su strada o ferrovia, che è molto più caro e pone problemi di sicurezza. Gli investimenti sono già stati fatti e i lavori sono iniziati. Tre nuovi oleodotti sono in costruzione : Cactus II, Gray Oak, Epic.

L’aumento di produzione previsto in Nord America e nel Golfo dovrebbe superare entro 18 mesi i possibili tagli di produzione in Venezuela e forse in Iran. I prezzi a fine 2019 dovrebbero iniziare a scendere di nuovo.

Il costo di produzione dello shale oil (petrolio di scisti) americano, che alcuni anni fa era superiore a 65 dollari al barile, oggi è sceso a 50-55 dollari al barile, grazie a migliorie tecniche. Il costo di produzione del petrolio dell’Arabia Saudita è soltanto di circa 10-15 dollari al barile. Per la Russia il costo di produzione medio è di circa 20-25 dollari al barile.

Quando i prezzi di vendita scendono per eccesso di produzione, negli USA soffrono i produttori privati, che eventualmente chiudono alcuni pozzi, diminuiscono la produzione finché i prezzi non risalgono. In Russia e in Arabia Saudita invece a soffrire è il bilancio dello stato, da cui dipendono i pagamenti di stipendi e pensioni, il mantenimento dell’esercito e delle infrastrutture di base. Si tratta infatti di paesi che hanno come attività economica di base la vendita di petrolio e gas. Oltre all’energia non hanno molto altro. I loro bilanci statali entrano in sofferenza quando i prezzi scendono sotto ai 70 dollari per barile.

Inoltre l’esportazione di petrolio dall’Arabia Saudita verso il mondo avviene soltanto via mare. Si tratta di golfi e mari stretti, lungo i quali si presentano ulteriori strettoie facilissime da bloccare con attentati o con piccole flotte. Chiunque riuscisse a bloccare questi stretti metterebbe in ginocchio i Sauditi e anche i paesi che comprano il loro petrolio. E farebbe salire alle stelle i prezzi del petrolio sul mercato globale per almeno un paio di anni, prima che altri paesi possano incrementare la produzione.

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