Che cosa rimane dell’ordine mondiale dell’anno 2000?

13/06/2018

La caduta del muro di Berlino segnò la fine della Guerra fredda e la ‘vittoria’ dell’Occidente. L’Occidente si affrettò a creare nuove istituzioni sovranazionali quali il WTO e l’Unione Europea, per dar forma al nuovo ordine globale. Nel 2002 le nuove istituzioni presero a funzionare, ma quasi subito l’ordine immaginato iniziò a sgretolarsi in modi imprevisti e oggi non ne rimane in piedi nessun pilastro.

Prendiamo l’idea che la Turchia sia un pilastro della NATO. Da dieci anni la Turchia persegue un cammino che è in rotta di collisione con la NATO. Sostiene movimenti islamisti anti-occidentali, è sempre più ostile ad alleati di fatto della NATO e degli USA quali la Grecia, Israele e i Curdi. La NATO non ha neppure chiare strategie di fondo. Chi è il ‘nemico’ e chi è l’alleato dei prossimi dieci anni? Probabilmente neppure il segretario generale della NATO ne ha un’idea certa.

Prendiamo l’idea che in Cina la crescita economica e l’accesso ai mercati globali avrebbe visto l’ascesa di una classe media benestante che avrebbe spinto la politica verso forme più democratiche e l’economia verso il liberismo. Su questo presupposto fu costruito il WTO, in base a questo presupposto la Cina ebbe subito libero accesso al commercio globale sulla fiducia, anche se le condizioni di base non ne facevano ancora un’economia di mercato (e i prodotti cinesi decimarono rapidamente la piccola e media industria italiana nel primo decennio del secolo). Non è successo nulla di tutto ciò: la Cina mantiene un governo dittatoriale e accentratore, cerca di promuovere lo sviluppo tecnologico rubando brevetti, pratica prezzi politici per tutte le materie prime e per l’energia, mantiene il controllo pubblico di oltre il 60% delle industrie, ha un sistema finanziario controllato dal potere politico. E sta attivamente espandendo la sua egemonia in Asia e in Africa.

E l’Unione Europea? Di fronte ai colpi della realtà l’utopia di una grande civiltà continentale democratica e socialista, pacifista e multiculturale, ecologista e tecnologica ha mostrato rapidamente la corda. Oggi ci sono almeno cinque Europe diverse: l’Inghilterra, l’Est che rifiuta immigrati e multiculturalismo, il Sud offeso dall’obbligo di rigore fiscale e dall’abbandono davanti ai problemi dell’immigrazione, la zona di stretta egemonia franco-tedesca (ormai molto più tedesca che francese), infine la Russia con la sua politica energetica e il suo rinnovato interesse verso il Medio Oriente e il Mediterraneo.

Anche la Germania non è più quella del 1992, né quella che ci si aspettava: è tornata a essere la Germania che si crogiola nel proprio potere e nella propria ricchezza anche a scapito dei vicini, che ha un enorme surplus commerciale ma non cerca di utilizzarlo per il bene comune del continente, né accetta di ridurre lo squilibrio commerciale con i partner.

Il mercato dell’energia è totalmente diverso rispetto a quindici anni fa. Gli USA sanno diventando i maggiori produttori globali di gas, petrolio e carbone e sono all’avanguardia nello sviluppo di motori ibridi. Persino Israele si è reso totalmente indipendente dall’energia importata. Le rotte del petrolio mediorientale ora sono di interesse vitale per l’Iran, le monarchie del Golfo e i loro clienti in Europa e in Cina, non più per gli USA. Europa e Cina però non hanno la potenza navale necessaria a proteggere le rotte da cui dipendono le loro economie nei confronti di pirati e attori regionali; continuano ad aspettarsi che lo facciano gli USA, che non hanno più intenzione di addossarsi tanto onere. Presto però vedremo cambiamenti politici e militari di adeguamento alla realtà e in questo contesto l’Italia potrebbe − anzi dovrebbe − diventar centrale per la difesa delle rotte del Mediterraneo, di Suez e del Mar Rosso da parte dei paesi europei.

Persino il conflitto palestinese, ossificato da 75 anni dall’ONU, sta cambiando aspetto. Le tragedie dei milioni di rifugiati dei conflitti mediorientali (per non parlare dei conflitti in Africa) fanno apparire quanto mai fuori luogo che i discendenti dei 730 000 rifugiati palestinesi del 1949 (diventati circa 5 milioni di persone) siano ancor oggi mantenuti e commiserati dalla comunità internazionale, anziché invitati ad affrontare la realtà e cercar soluzioni pragmatiche. L’America di Trump ha fatto una dichiarazione esplicita spostando l’ambasciata a Gerusalemme. Anche i paesi arabi stanno abbandonando la causa palestinese, che rimane bandiera politica internazionale dell’Iran e della Turchia.

Anche la proliferazione nucleare non è più quella che era. Dal dopoguerra in poi è stata l’arma di paesi secondari e dittatoriali (‘paesi canaglia’) che cercavano di acquistar peso nel mondo violando le norme internazionali con dimostrazioni di inaccettabile aggressività. Ora che anche la Corea del Nord ha deciso di rientrare nella comunità internazionale rinunciando alle armi nucleari (che ha dimostrato di avere davvero), l’opinione pubblica globale sa che tali armi sono facilmente acquisibili da parte di qualunque paese e danno visibilità e forza contrattuale a livello internazionale. Averle è sempre una scelta premiante. È facile scommettere che a questo punto la corsa all’armamento nucleare non avrà più come protagonisti pochi ‘stati canaglia’ periferici, ma alcuni paesi democratici che ora si sentono in pericolo nella loro regione e non sono più certi che gli USA (o la Russia) li proteggeranno con certezza da possibili attacchi dei vicini. I candidati più probabili sono il Giappone, l’Egitto, l’Arabia Saudita, Taiwan.

In quanto all’America, l’elezione di Trump ha dimostrato che gli elettori non si sentono più i forti ricchi cittadini del paese più democratico e più fortunato del mondo, i generosi garanti dell’ordine internazionale e delle sue istituzioni. La politica degli USA cambierà stile dopo Trump, ma non cambierà obiettivi né strategie di fondo.

Nessun governo e nessuna istituzione internazionale può fare a meno di prendere nota di questi cambiamenti. Le strategie di ognuno vanno riviste e riadattate. Anche gli elettori italiani l’hanno capito e hanno votato per il cambiamento: in che cosa consisterà davvero il cambiamento non è chiaro a nessuno. La nuova realtà è ancora da esplorare e da capire. Auguri a noi!

Le istituzioni immaginate all’inizio degli anni 2000 sono state studiate per un ordine mondiale che iniziò subito a sgretolarsi. Oggi non ne rimane in piedi nessun pilastro: l’Europa è divisa, il mercato dell’energia e la proliferazione nucleare sono profondamente cambiati e l’accesso ai mercati globali non ha spinto la politica della Cina verso forme più democratiche, né la sua economia verso il liberismo

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