“Le parole degli altri”
Un esempio di didattica della Shoah e di lavoro sulla memoria

28/01/2018

Tra le tante attività didattiche realizzate e promosse nell’anno scolastico appena concluso, siamo particolarmente felici di aver contribuito ancora una volta allo spettacolo realizzato dal liceo Domenico Berti per il Giorno della Memoria. Ancora una volta il lavoro della professoressa Paola Marzia Gazzi è riuscito a far sì che i ragazzi esprimessero le proprie doti artistiche e la propria personalità, associandole a un profondo percorso di conoscenza e di riflessione sulla Shoah.

Per coinvolgere i ragazzi si è scelta come sempre una risorsa preziosa: storie personali di uomini e donne che gli studenti imparano a conoscere e nelle quali si immedesimano sempre più durante il percorso che porta allo spettacolo. Quest’anno si è trattato delle storie di Abramo (detto Mino) Segre e di Italo Momigliano, accomunati da due importanti elementi: la cattura e successiva deportazione e morte a causa di delatori – di qui il titolo dello spettacolo, “Le parole degli altri” – e il legame con il liceo Berti. Mino aveva frequentato il Berti, ma dopo il diploma gli fu impossibile insegnare a causa delle leggi razziali. Anche la sorella Rosa si iscrisse al Berti ma le fu impedito di proseguire. Entrambi furono uccisi ad Auschwitz con la madre Ester. Italo era il padre di Silvana Momigliano, docente per tanti anni proprio al liceo Berti. Anche lui fu catturato, deportato e ucciso insieme ai due fratelli.

L’approccio impegnato, rispettoso e consapevole degli studenti si è avvertito chiaramente nella rappresentazione andata in scena al teatro Sant’Anna il 24 e il 25 gennaio: senza abbandonarsi alla retorica, lo spettacolo ha mostrato la sua salda ossatura basata sullo studio storico di documenti: dai registri e dalle pagelle ritrovate nell’archivio del liceo, alle lettere che Mino e Italo hanno scritto nelle ore più buie, consapevoli di andare in contro a un destino terribile.

Di seguito, due estratti da lettere di Mino e Italo, che rendono l’idea della portata storica ed emotiva dei documenti con i quali questi ragazzi si sono confrontati con una maturità così apprezzabile (in testata, un breve video ripercorre alcuni momenti dello spettacolo, dando l’occasione di conoscere meglio le storie dei due protagonisti).

 

Dalla lettera che Mino scrisse il 7 dicembre 1943, in treno verso la Polonia:

Cara Lucia,

affido questo mio scritto alla bontà di qualcuno che lo vorrà imbucare.

È il secondo giorno che mi trovo rinchiuso in un vagone bestiame con i miei e con altre 200 persone in viaggio verso il campo di concentramento. Ho la prospettiva terribile di 8 giorni di viaggio per raggiungere Cracovia in Polonia. Ho purtroppo il presentimento che questo viaggio sia per me ed i miei senza ritorno, se non soccomberemo per la fame e per le fatiche cui verremo sottoposti, non potremo resistere ai freddi terribili, scarsamente vestiti e calzati come ci troviamo. L’ultima nostra speranza è in Dio che purtroppo finora non ci ha aiutati, ma che pure continuiamo a pregare perché se manca il conforto della fede in questo momento così terribile, tanto vale farla finita senz’altro con la vita.

Le sofferenze del carcere sono un paradiso in confronto a quanto andiamo incontro ed io ti assicuro che invidio il galeotto. Comunque ormai il destino è segnato e salvo un miracolo non tornerò più a casa. Sono ormai totalmente rassegnato e così mia mamma e mia sorella (poverette). Non mi spaventerei neppure se dovessero fucilarmi tra un’ora.

 

Da una lettera che Italo scrisse il 26 ottobre 1944 alla moglie Regine dal campo di transito di Bolzano, dal quale venne poi trasferito con i fratelli a Flossenbürg e poi a Bergen-Belsen, dove morì.

Carissima. Immagino il tuo stupore nell’apprendere la mia partenza di Torino e la mia destinazione di Bolzano. Mi trovo qui con i fratelli, i quali stanno bene ed affrontano la situazione con molta calma e filosofia. Io faccio come loro e penso giornalmente a te e a codesto tesoro di bambina con molta nostalgia e molto rimpianto. Mi sorprendo sovente ad intenerirmi al vostro pensiero, ma debbo reprimere le mie emozioni onde non risvegliare nei miei compagni pene analoghe, uguali pensieri.

[…] Circa te personalmente, sei troppo giovane per rinunciare agli attributi delle donne della tua età; agisci come meglio credi e non crederti vincolata da nessun impegno….

Per la cara piccola, provvedi a darle un’istruzione buona, ma soprattutto una professione dignitosa e decorosa. Se avrà delle predisposizioni falle studiare la musica…

Purtroppo non posso lasciarti né ricchezza né agiatezza, me ne vorrai perdonare. Mi auguro che il destino ti concederà di trovare le migliori soluzioni con l’aiuto di chi ti è prossimo. Scrivimi subito.

Alla piccola cara Silvana un bacio e una benedizione. A te un abbraccio.

Tuo, Momì.

 

L’impegno degli studenti non si è concluso una volta calato il sipario, continua con un passaggio di testimone che vedrà una futura classe quinta proseguire nella ricerca iniziata dai “colleghi” due anni fa sotto la supervisione della docente Eva Vitali Norsa. Una ricerca che dall’archivio della scuola li ha condotti alla consultazione degli archivi Terracini fino alla scoperta di un’altra lettera scritta da Mino, ora custodita in un museo di Washington, ma presto disponibile in copia perché gli studenti possano aggiungere altri tasselli al quadro storico e personale, intellettuale ed emotivo che stanno costruendo.

La documentazione raccolta dai ragazzi culminerà nel progetto di richiesta della posa delle “pietre d’inciampo” per Mino e per la sorella Rosa all’entrata del liceo Berti, che entrambi frequentarono fino a quel fatidico 1938.

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