L’ascesa al potere della dinastia saudita in Arabia

07/05/2018

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L'Arabia Saudita è in subbuglio: epurazioni e arresti nella famiglia reale, un malessere economico dovuto al crollo del prezzo del petrolio e improvvise riforme sociali, compresa l’estensione delle libertà per le donne, tutto contribuisce a creare un senso di incertezza circa il futuro del regno.

Ma il regno saudita ha già superato sfide difficili, anche nelle sue precedenti versioni. Il moderno stato saudita risale a meno di un secolo fa, ma il clan Saudita ha dominato la penisola araba per circa tre secoli. Diversi imperi e tribù hanno cercato di dominare la regione in passato, dando origine a costanti lotte di potere. Soltanto i Sauditi sono riusciti a mantenere un controllo a lungo termine su buona parte della Penisola Araba. Ora però i due pilastri del potere Saudita – religione e petrolio – non sono più solidi come prima. La Penisola potrebbe tornare alla sua frammentazione abituale prima dei Sauditi.

Il Regno Saudita copre la maggior parte della Penisola Araba e si compone di due regioni ben distinte: l’Hejaz, area cosmopolita situata lungo il Mar Rosso, e il Nejd, un’arida area desertica che comprende più valli, sepolte all’interno della Penisola. Il Nejd inizia dove finiscono le montagne dello Hejaz e si estende fino all’oasi di Hasa, lungo la costa orientale.

                                                                                                                                                                                       

Un po’ di storia

Nel 622 l’intera Penisola fu unificata politicamente per la prima volta dallo stato musulmano fondato a Medina dal profeta Maometto, ma si divise alla sua morte. Il primo califfo Abu Bakr fronteggiò la ribellione di numerose tribù, molte delle quali del Nejd. La ribellione fu stroncata, ma l’Arabia perse di importanza nell’ambito del califfato, che nel frattempo si era esteso nei territori già appartenuti all’Impero Bizantino e Sassanide. La capitale fu spostata a Damasco e poi a Baghdad, lasciando all’Arabia – specialmente l’Hejaz – il primato religioso, ma non politico, nel califfato.

Le molte dinastie imperiali che gestirono il potere in Medio Oriente (Omayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Ayubidi, Mamalucchi e Ottomani) non erano di origine araba, ma provenivano da altre popolazioni convertite all’islam in altre aree, con culture politiche, sociali ed economiche diverse. Ma tutte volevano il controllo della regione di Hejaz, per l’importanza religiosa della sue ‘città sante’, Mecca e Medina.

Nel tardo X secolo Mecca e Medina erano governate da principi arabi, chiamati ‘sceriffi’, appartenenti al clan Hashemita (i cui discendenti governano l’attuale Giordania), ma Nejd era un luogo oscuro, misterioso, sepolto nell’interno dell'Arabia e chiuso al resto del mondo. Soltanto quando gli Ottomani stabilirono il loro controllo su entrambe le coste della Penisola, a metà del XVI secolo, Nejd assunse qualche interesse. Gli Ottomani ebbero l’opportunità di penetrare nel Nejd perché era più facilmente accessibile da Hasa, sul litorale orientale, non conquistato dagli imperi islamici precedenti. Agli Ottomani invece serviva il controllo delle coste del Golfo Persico nella guerra con l’Impero Safavide.

Alla fine del XVII secolo iniziò il declino del potere Ottomano. I feudatari sulle coste, compresi gli sceriffi di Hejaz, divennero sempre più indipendenti. Nel XVIII secolo sia da Hejaz ad ovest che da Hasa ad est varie tribù cercarono di espandersi nel Nejd, alimentando lunghi conflitti tribali. Le tribù che controllavano le oasi di Uyaina, Qasim, Diriyah e Riyadh cercarono di difendere i loro possedimenti. Diriyah, nei sobborghi di Riyadh, divenne una città chiave nel 1700, quando Saud bin Muhammad, fondatore della dinastia saudita, ne divenne Emiro. Fu ucciso nel 1725 e il figlio e successore Muhammad bin Saud combatté tutta la vita un’amara lotta di potere con altri capi tribali provenienti da aree vicine. In questo periodo Muhammad ibn Abd al-Wahhab, fondatore del ramo ultra conservatore dell’islam conosciuto come wahabismo, ritornò alla sua natia Nejd dopo aver studiato in seminario in Iraq, Syria ed Egitto. Iniziò a predicare una interpretazione puritana dell’islam, in conflitto con il credo sunnita prevalente in quel momento. Costretto a fuggire, si stabilì a Diriya nel 1744 e strinse un patto con Muhammad bin Saud. Fu il fondamento dell’alleanza tra Sauditi e Wahabiti che continua tuttora. Insieme lanciarono il jihad per diffondere la nuova ideologia in tutta la regione del Nejd e oltre.

Fu un punto di svolta nella storia dei Sauditi, che senza l’ideologia religiosa wahabita sarebbero stati soltanto uno dei tanti clan di signori della guerra nel Nejd. Invece riuscirono a conquistare anche l’Hejaz, cosa intollerabile per gli Ottomani, che nel 1811 mandarono l’albanese Ibrahim Pasha, figlio del governatore dell’Egitto, a riconquistare l’Hejaz con un esercito di Egiziani. Dopo sette anni di guerra gli Egiziani distrussero lo stato saudita. Gli Egiziani però non erano interessati a rimanere nel Nejd, perciò sei anni più tardi i Sauditi, guidati da Turki bin Abdullah, nipote di Muhammad bin Saud, poterono riprendere il controllo di Riyadh e guidare la creazione del secondo stato saudita nel 1824. Era più piccolo e più debole del precedente a causa dei conflitti interni, specialmente con il clan al-Rasheeds della regione settentrionale di Hail. Nel 1891 gli al-Rasheeds trionfarono e i Sauditi furono mandati in esilio in Kuwait.

Ma nel 1902, Abdulaziz bin Abdulrehman riuscì a prendere di nuovo il controllo di Riyadh. Riconquistò anche la costa orientale nel 1913, togliendola agli Ottomani. Abdulaziz voleva anche il controllo del Kuwait ma gli Inglesi si opposero, per non mettere a repentaglio i buoni rapporti con gli Hashemiti, del cui appoggio avevano bisogno nella guerra contro l’Impero Ottomano. Dopo il crollo dell’Impero Ottomano gli Inglesi autorizzarono Abdulaziz a muovere su Hejaz nel 1923. Con le città sante fermamente nelle loro mani, i Sauditi divennero non solo governanti di uno stato islamico, ma anche capi del mondo islamico dal punto di vista religioso.

Nel 1927 gli Inglesi riconobbero il Regno di Hejaz e Nejd con il Trattato di Jeddah. Le due regioni rimasero domini separati per cinque anni, poi formalmente uniti nel Regno dell’Arabia Saudita. Agli inizi del 1930 i Sauditi controllavano la maggior parte della Penisola Araba. Ma il Regno era ancora debole e faceva affidamento sugli Inglesi per la sua sicurezza. L’islam da solo non avrebbe potuto mantenere stabilità e unità nel paese per un lungo periodo, data la frammentazione del mondo musulmano. Il terzo stato saudita era minacciato soprattutto dal nazionalismo panarabo laico e socialista (o baathismo) che si era sviluppato in Egitto, Iraq e Siria nel periodo tra le due guerre mondiali.

La scoperta del petrolio in Arabia Saudita nel 1938 da parte della Standard Oil cambiò le regole del gioco. La produzione non incominciò fino al 1949 e ci volle ancora un decennio prima che il settore petrolifero fosse nazionalizzato, ma infine i Sauditi divennero i maggiori produttori mondiali di greggio. Le riserve petrolifere del paese e il primato religioso nel mondo musulmano sostennero la monarchia saudita per decenni. La ricchezza del petrolifero permise al regno di proiettare potere e influenza attraverso la regione e oltre. Dalla fine della Seconda guerra mondiale furono gli Stati Uniti i garanti della sicurezza saudita, rimediando al fatto che l’esercito saudita fosse molto debole, malgrado la sua ricchezza.

Abdulaziz bin Abdulrehman morì nel 1953 e i suoi figli assunsero il potere, ma combatterono a lungo all’interno, sia con altri membri della famiglia reale, sia con elementi radicali delle istituzioni religiose. Le crisi si susseguirono per decenni; nel 1964 ci fu l’abdicazione forzata del successore, Saud bin Abdulaziz; nel 1975 fu assassinato il re Faisal bin Abdulaziz, succeduto a Saud; nel 1979 ci fu l’assedio della Grande Moschea di Mecca da parte di estremisti religiosi; nel 1990 si ebbero dimostrazioni di dissidenti, negli anni 2000 il pericolo di al-Qaeda e il decennio successivo quello di Daesh (Stato Islamico).

I Sauditi hanno superato tutte le crisi interne, ma ora si aggiungono problemi esterni: la proliferazione del jihadismo, l’erosione dell’autorità dello stato nel mondo arabo, l’ascesa dell’Iran e dei suoi alleati arabi sciiti, una Turchia emergente e le divergenze di interessi con gli Stati Uniti. Tutto questo accade in un momento in cui il potere è trasferito a una nuova generazione di Sauditi. Ma soprattutto la grande fonte di entrate del regno sta prosciugandosi a causa del crollo dei prezzi del petrolio. I Sauditi sono costretti a consumare le riserve monetarie per mantenere la stabilità interna. Inoltre con una popolazione giovane (due terzi dei cittadini hanno meno di 30 anni) il tessuto culturale e sociale del paese sta cambiando. La religione ha riunito nel passato le tribù in guerra, ma non può tenere insieme il regno attuale, più moderno e giovane.

Il principe ereditario Mohammed bin Salman sta facendo mosse senza precedenti contro le istituzioni religiose e contro la stessa famiglia reale, con riforme sociali di ampia portata. Per ora non sono sorte serie resistenze, ma siamo soltanto all’inizio del processo. Indipendentemente da ciò che accade alla monarchia saudita la Penisola Araba sta già mostrando segni di frattura: la guerra in Yemen e il blocco arabo del Qatar sono solo due segnali di questa frammentazione.

La Penisola Araba è stata significativa dal punto di vista geopolitico soltanto in due momenti della storia: nel VII secolo con l’ascesa dell’Islam e nel XX secolo con la scoperta del petrolio. Negli altri periodi soltanto le aree della regione costiera furono rilevanti. È probabile che si tornerà a questo stato di cose: le coste diventeranno centri di potere diversi e le regioni interne si sgretoleranno.

I Sauditi hanno superato tutte le crisi interne, ma ora si aggiungono problemi esterni, in un momento in cui il potere è trasferito a una nuova generazione. Ma soprattutto la grande fonte di entrate del regno sta prosciugandosi a causa del crollo dei prezzi del petrolio.

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