La riforma fiscale negli USA cambierà il mondo

23/03/2018

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La riforma fiscale del presidente Trump avrà ricadute importanti sul resto del mondo. Nella competizione fra le economie globali la riforma modifica significativamente il tavolo da gioco per quasi tutti.

La riforma riporta gli utili delle grandi aziende tecnologiche sotto al fisco americano, perché da un lato le obbliga a portare in patria i profitti maturati all’estero, dall’altro agevola questo rimpatrio con una tassa una tantum sugli utili passati, mentre riduce la tassazione futura al 21%, cioè a un livello per cui non è conveniente creare società di comodo all’estero, né tentare di occultare profitti per evadere il fisco. 

Uno studio recente ha valutato che il 63% degli utili di tutte le multinazionali americane sono accumulati in società domiciliate in Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Singapore, Svizzera e Bermuda, cioè nei ‘paradisi fiscali’ del globo. Si tratta di capitali enormi, superiori ai bilanci di alcuni stati del mondo, perché gli utili accumulati all’estero dalle multinazionali americane sono valutati in circa 1600 miliardi di dollari. La sola Apple ha utili accumulati in ‘paradisi fiscali’ per un valore di 216 miliardi di dollari, Microsoft ne ha 109 (grafico a fianco).

Con la nuova legge Apple pagherà 38 milioni di dollari a titolo di sanatoria fiscale e riporterà tutti i capitali in patria; in seguito pagherà il 21 % di tasse sugli utili − una percentuale abbastanza bassa da rendere anti-economico dedicare tempo e risorse per creare e mantenere società di comodo o correre il rischio di nascondere gli utili. I paradisi fiscali del mondo, la metà dei quali collocata in Europa, perderanno i loro maggiori clienti.

I capitali riportati in USA saranno probabilmente reinvestiti in prima battuta negli USA, ora che la tassazione degli utili è così bassa. Infatti Apple ha appena annunciato un investimento di 30 miliardi in una nuova impresa per l’intelligenza artificiale negli USA.

La riduzione delle tasse produrrà un aumento del deficit di bilancio negli Stati Uniti per almeno tre anni, che farà salire il debito pubblico americano all’85% del PIL (attualmente è al 77%, mentre il nostro debito in Italia è pari al 136% del PIL). Questo aumento del debito, unito al proseguimento del quantitative easing monetario (cioè ai bassi interessi sul dollaro), potrebbe far calare di valore il dollaro, agevolando l’export degli USA e rendendo invece più care le importazioni. La bilancia commerciale degli USA dovrebbe migliorare, dovrebbero crescere il PIL e l’occupazione. Ne patiranno conseguenze negative le economie basate sull’esportazione, in primo luogo la Cina e la Germania. La contrazione andrà ad aumentare l’effetto previsto sul commercio internazionale dal ripristino dei dazi sull’acciaio e sull’alluminio e sui prodotti derivati. La ricerca e l’innovazione tecnologica potrebbero ricevere una forte spinta dall’aumento degli investimenti in intelligenza artificiale da parte delle multinazionali americane, aprendo le porte a un nuovo periodo di sviluppo globale.

I paesi dell’Unione Europea dovranno rapidamente decidere se accettare revisioni ai regolamenti del WTO e degli enti sovranazionali di cui gli USA sono grandi finanziatori (come la NATO) per avere in cambio condizioni di favore per esportare negli USA e rimanere ancorati all’economia americana e alla difesa americana, oppure rischiare di lasciare l’ancora americana e cercarne un’alternativa. L’alternativa potrebbe essere creare davvero un’unione politica e fiscale in Europa – anche una difesa comune − ma quali governi europei sono in grado di proporre oggi questa soluzione agli elettori?

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