WTO: braccio di ferro fra Cina e Occidente

29/12/2017

La fine della Guerra fredda ha portato una nuova visione del libero scambio negli Stati Uniti. Per quasi cinquant’anni gli Stati Uniti hanno guidato la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) cercando di forgiare il sistema commerciale globale come baluardo anti-comunista. Ma i tempi sono cambiati e l’undicesima Conferenza Ministeriale del WTO è giunta a una fine indecorosa il 13 dicembre a Buenos Aires.

I nuovi equilibri del commercio globale sono molto diversi da quelli definiti dalla Guerra fredda. Tutti i paesi hanno adottato una serie di principi di libero mercato, ma selezionandoli a seconda della propria convenienza, limitatamente ad alcuni settori. L’economia russa è gestita per lo più dallo stato, ma il paese ha scelto alcune regole dell’economia occidentale per creare un’economia ibrida. In Cina il settore privato assume più di quello pubblico e contribuisce per oltre il 60% alla crescita del PIL. Le economie ex comuniste iniziano a produrre beni di alto valore e sono diventate pericolose concorrenti delle economie occidentali. Le pressioni americane sulla Cina sono cresciute e Robert Lighthizer, rappresentate USA per il commercio, ha criticato il WTO perché non ha gli strumenti necessari per forzare la Cina a seguire i principi fondamentali del libero mercato.

Ma riformare il WTO non è facile. All’interno dell’Organizzazione le decisioni devono essere unanimi, il che significa che ogni paese ha potere di veto. Per questo i negoziati iniziati 16 anni fa a Doha non hanno portato a nessuna conclusione.

Alla conferenza di Buenos Aires Stati Uniti, Unione Europea e Giappone hanno dichiarato l’intenzione di cooperare per eliminare le “pratiche sleali protezionistiche e di distorsione del mercato da parte di paesi terzi”. Sottintendevano la Cina, pur senza citarla. Stati Uniti e Unione Europea definiscono la Cina come un’economia non di mercato. Grazie a questa definizione, le regole del WTO permettono di imporre misure restrittive e dazi anti-dumping alle merci cinesi, pur se limitate nel tempo e per tipo di prodotto.

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