L’uomo che fermò Hitler
La storia di Dimitar Peshev

02/10/2017

Gabriele Nissim ha ricostruito e narrato la storia esemplare di Dimitar Peshev (1884-1973), alla cui iniziativa e al cui coraggio si deve l’attivazione dell’opinione pubblica bulgara per salvare i concittadini ebrei. Diamo qui un estratto della storia narrata nel libro, usando alcune citazioni dal libro di Nissim.

Brillante avvocato, di famiglia borghese colta e ricca, Peshev nel 1935 fu nominato Ministro della Giustizia in un governo che intendeva porre fine al caos e alla corruzione con metodi autoritari. Come tanti Europei in quagli anni, si era lasciato affascinare dagli esperimenti politici totalitari, illudendosi che un regime autoritario senza partiti potesse risolvere il problema della corruzione e del degrado politico.

Il governo bulgaro si alleò con la Germania nazista nella speranza di ottenerne in cambio i territori perduti nelle guerre balcaniche degli anni 1912-13. Infatti nel 1940 Hitler ‘regalò’ alla Bulgaria la Dobrugia, territorio conteso, togliendola alla Romania. Il re, il governo e i cittadini erano entusiasti e la Bulgaria diventò filo-tedesca, quasi senza eccezione. Alla fine dello stesso anno, Hitler chiese alla Bulgaria di votare le leggi razziali. Peshev, come tanti altri in Europa, inclusi noi Italiani, ritenne si trattasse di una misura irrilevante, ma che avrebbe aperto alla Bulgaria le porte del Nuovo Ordine Europeo. 

Nel 1941 Hitler decise di invadere la Grecia, passando attraverso la Bulgaria. Il re e il governo bulgaro considerarono che il male minore fosse accettare le richieste tedesche e aprirono il territorio al passaggio dell’esercito nazista.

Nel 1942 i Tedeschi chiesero ai Bulgari la consegna degli Ebrei. Il ministro degli interni Gabrovski, per poterlo fare ‘legalmente’, chiese di togliere agli Ebrei bulgari anche il diritto di cittadinanza (gli erano già state tolte tutte le proprietà).

Peshev ancora non si oppose: voleva illudersi che si trattasse di provvedimenti che non avrebbero avuto conseguenze gravi. C’è un solo modo, aveva detto un giorno Immanuel Kant, attraverso cui gli uomini possono sfuggire all’inquietudine del disprezzo di sé: trovare la capacità di mentire a se stessi. È così che in genere viene meno quell’istintiva ancora di salvezza che impedisce agli uomini di farsi trascinare verso crimini orribili’. 

Peshev continuò normalmente la sua vita aristocratica nell’ambiente altolocato della classe dirigente finché una domenica mattina, all’improvviso, ricevette la visita disperata di un amico che non vedeva da anni: un suo vecchio compagno di scuola ebreo proveniente da Kjustendil, la ridente cittadina al confine con la Macedonia dove Peshev aveva vissuto fino all’adolescenza. Lo informò che il governo, in accordo coi Tedeschi, stava preparando per il giorno dopo la deportazione segreta della minoranza ebraica. I treni erano già stati predisposti nelle stazioni. La notte successiva gli Ebrei sarebbero stati rastrellati e caricati sui vagoni, per partire la mattina seguente per la Polonia (la destinazione, allora sconosciuta, era Auschwitz). ‘…. di colpo, il suo atteggiamento cambiò. Divenne deciso, lucido, determinato. Suggerì di organizzare un incontro nella sua casa di Sofia con la delegazione di Kjustendil per decidere l’iniziativa politica da prendere. Peshev mi rivelò di aver vissuto, in quei momenti, come una crisi di coscienza, uno stato d’animo particolare di cui non parlò mai né ai suoi amici, né ai suoi parenti, né ai suoi vicini. Di fronte alle ineludibili richieste dei suoi concittadini, si trovò di colpo a riconsiderare tutti i compromessi morali che aveva accettato in nome dei superiori interessi della Bulgaria’.

 

Peshev si ricordò che il giorno dopo si sarebbe riunito il Parlamento e che in quell’occasione c’era la possibilità di far scoppiare uno scandalo politico (…) La minaccia della delegazione di far scoppiare uno scandalo pubblico non solo spaventò Gabrovski, ma fece emergere in lui anche la paura di perdere la faccia di fronte a un’azione di cui nell’intimo si vergognava. Era venuta alla luce la sua doppiezza. Lo nota con una certa commiserazione lo stesso Peshev: «Mi impressionò quanto fosse confuso e agitato, e benché mi sembrasse inverosimile che di fronte alle mie proteste circostanziate egli potesse ancora sostenere che non ci fosse in atto nulla contro gli Ebrei, non vedevo in lui solo inganno e perfidia. Pensavo che avesse trovato una formula di comodo per uscire dal suo disagio. Così mi convinsi che non avrebbe più attuato il suo piano». L’opportunista e filonazista Gabrovski diventò, suo malgrado, uno di coloro che fermarono la deportazione.

[…] Peshev agì d’istinto, senza avere ancora un quadro preciso della situazione. Solo la settimana seguente cominciò veramente a capire. «Un deputato, se non sbaglio Jiko Strundjev, mi raccontò che in Bulgaria settentrionale, non ricordo più in quale stazione ferroviaria, aveva visto passare dei vagoni pieni di Ebrei. Una scena terribile. Era agitatissimo. Decisi allora di agire politicamente e non solo tramite contatti personali».

 

 «Mi ponevo la domanda: che fare? Non potevo più tacere e restare inattivo quando erano in gioco questioni così importanti. Il silenzio sarebbe stato contrario alla mia coscienza e al mio senso di responsabilità di deputato e di uomo, e mi sarei reso complice di tutto ciò che sarebbe potuto accadere in seguito. Così decisi di agire. Ma come? Avevo capito che i gesti personali, per se praticabili, potevano dimostrarsi, alle lunga, di scarsa efficacia. Non erano sufficienti per garantire un esito positivo. Il governo li poteva ribaltare con le stesse motivazioni con cui aveva giustificato l’approvazione dei provvedimenti antiebraici. […]Per evitare l’irreparabile e raggiungere l’obiettivo bisognava porre la questione in Parlamento».

Peshev comprese per la prima volta che la riconquista dei territori aveva significato il sacrificio dei cittadini ebrei, prima discriminati e ora consegnati ai Tedeschi.

 

Peshev raccolse la firma di 43 deputati per porre la questione al parlamento. Il governo le fece ritirare a quasi tutti con l’intimidazione e “consigliò” a Peshev le dimissioni spontanee. Ma ormai la notizia era uscita allo scoperto, e molti che non volevano sapere né vedere né capire non poterono più ingannare se stessi.

Dopo il gesto di Peshev, i filonazisti dovevano dichiarare a chiare lettere di essere favorevoli alla deportazione, gli intellettuali e la Chiesa dovevano agire concretamente, mentre gli opportunisti dovevano scegliere. In questo modo si compì uno dei rari miracoli della Seconda guerra mondiale.

 

Anche la Chiesa Ortodossa prese posizione: il 24 maggio il Metropolita Stefan celebrò una messa solenne sul sagrato predicando contro la discriminazione e la persecuzione degli Ebrei. Poi scrisse a nome del Sinodo: Preghiamo il re di annullare il provvedimento e di impartire un ordine imperiale per l’abolizione definitiva della legge antiebraica.’

Lo scandalo prodotto nell’opinione pubblica costrinse il re e il primo ministro Filov a resistere alle insistenti pressioni dei nazisti. Così 48000 Ebrei bulgari furono salvati dalla distruzione. Le conseguenze si ritorsero direttamente su Peshev, che fu destituito dalla sua carica politica ed espulso dalla maggioranza.

 

Dopo pochi mesi, in agosto, il re morì improvvisamente, di ritorno da un burrascoso incontro con Hitler e il potere passò nelle mani di Filov. Peshev fu definitivamente emarginato, ma nessuno in Bulgaria osò più progettare un nuovo piano contro gli Ebrei. 

 

Alla fine della guerra la Bulgaria entrò nella sfera sovietica e Peshev fu arrestato e processato per antisemitismo (!) e antisovietismo. Da Kjustendil vennero a difenderlo gli amici ebrei, inutilmente. La condanna a morte gli fu però risparmiata.

Da quel momento, Peshev visse in povertà, privato anche del lavoro, dimenticato, malato. Peshev mostrava di non avere alcun ripensamento sulle scelte fondamentali della sua vita, così come evitava in tutti i modi di mistificare il proprio passato. Aveva una sola linea di difesa: spiegare che in ogni circostanza è possibile compiere scelte personali che rispondano innanzitutto ai principi della propria coscienza’.

Dimitar Peshhev è onorato dal memoriale Yad Vashem di Israele come uno dei Giusti tra le nazioni. 

 

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