Sudafrica: uno stato con molte nazioni

27/09/2017

(tratto da “Geopolitical Future”, 24 agosto 2017)

Rispetto al resto della regione il Sudafrica è un Paese ricco, con un'economia forte e una solida base industriale, che potrebbe diventare leader regionale ed estendere la sua influenza su tutta l'Africa meridionale. Invece il Sudafrica è travagliato da questioni interne, da rivalità fra fazioni. Ma non è sempre stato così.

Il Sudafrica è stato meta di diverse ondate migratorie e di conquiste che si sono stratificate nel corso del tempo, perciò ha una popolazione varia e diversificata.

I gruppi oggi identificati come neri sudafricani sono principalmente di lingua Bantu, abitano la regione da secoli, sono agricoltori stanziali fin dal V secolo, hanno scacciato gli occupanti precedenti, i mandriani nomadi di lingua Khoisan. Le popolazioni di lingua Bantu comprendono un certo numero di sottogruppi, tra cui gli Xhosa, di cui Nelson Mandela era membro, e gli Zulu, di cui l'attuale presidente Jacob Zuma è membro.

Nel 1652 una spedizione delle Indie Orientali Olandesi arrivò a quella che oggi è Città del Capo e ne fece una base di rifornimento per le navi in rotta verso l'Asia. I discendenti dei coloni olandesi sono gli attuali Afrikaner, che parlano una sorta di antico olandese chiamato Afrikaans.

Il Sudafrica è essenzialmente una raccolta di piccole nazioni, tutte in concorrenza fra loro. Senza un'identità nazionale coerente, il Paese non riesce a trovare soluzioni ai suoi problemi sociali ed economici, benché abbia il potenziale per un grande sviluppo

Le altre potenze europee furono poco interessate al Sudafrica fino alle guerre napoleoniche, quando l’Inghilterra si impossessò della Colonia del Capo per impedire che la occupasse la Francia per controllare la rotta verso l'India. Gli Inglesi si scontrarono con i coloni olandesi obbligandoli a migrare verso nordest. Qui gli Afrikaner crearono le repubbliche autonome che avrebbero operato indipendentemente dall’impero britannico per il resto del XIX secolo. Quando però i Britannici seppero che questa zona era ricca di miniere d’oro e di diamanti, il conflitto tra coloni britannici e olandesi aumentò fino a sfociare nella Seconda Guerra Boera, che durò dal 1899 al 1902. Entrambe le parti riconobbero tuttavia la necessità di una soluzione politica piuttosto che militare, così nel 1910 fu adottata una costituzione che concesse al Sudafrica un alto grado di autonomia, e il paese fu unificato in un unico Stato.

 

Nel 1948 il Sudafrica adottò formalmente l'apartheid, un sistema di governo che escludeva i neri e istituzionalizzava pratiche razziste: ai neri non era permesso acquistare proprietà, erano confinati e divisi all’interno di riserve e obbligati a migrazioni di massa su terre improduttive. Tuttavia, a differenza di altri territori colonizzati, la popolazione indigena in Sudafrica fu sempre maggioritaria.

L'apartheid riuscì a sopprimere temporaneamente le divisioni interne creando un’identità nazionale coerente, ma lo fece sottomettendo le popolazioni nere al controllo degli Afrikaner. Con la segregazione il regime poteva ignorare gli interessi della maggioranza. Così durante la Guerra Fredda il Sudafrica divenne egemone in tutta l'Africa meridionale e centrale; i suoi militari condussero operazioni a nord fino allo Zaire (l’attuale Repubblica Democratica del Congo) e collaborarono con gli Stati Uniti nelle operazioni anti-sovietiche in Mozambico e in Angola.

Ma l’apartheid aveva in sé i germi della propria distruzione: le inefficienze economiche del regime segregazionista costrinsero il governo a concessioni graduali che permisero alle organizzazioni politiche nere di esercitare pressioni sempre maggiori. Le distorsioni del mercato del lavoro causate dalle leggi segregazioniste, tra cui la proibizione per i neri di svolgere i lavori qualificati riservati ai bianchi, furono responsabili della crisi economica che costrinse le élite politiche ed economiche a scendere a compromessi. Anche una crisi finanziaria e la fine della Guerra Fredda furono fattori determinanti nel porre fine al regime segregazionista.

Con la transizione alla democrazia nel 1994 molti credettero che si aprisse un futuro di grandi opportunità per i Sudafricani non bianchi. Erano previsioni eccessivamente ottimiste. I Sudafricani bianchi erano disposti a rinunciare al potere politico, non a quello economico. La costituzione del nuovo Sudafrica nacque dal compromesso fra l'ANC (il movimento di liberazione nazionale dei neri), che voleva principalmente il potere politico, e i bianchi proprietari di terreni e capitali, che volevano conservare la ricchezza accumulata. I detentori del potere economico non erano disposti a consegnare il potere politico senza che la Costituzione affermasse la protezione delle loro proprietà. Così è stata quasi impossibile la redistribuzione della proprietà; la parità salariale è migliorata, la parità di ricchezza no. Una piccola élite nera è emersa, ma la maggior parte dei neri Sudafricani è ancora molto lontana dai bianchi in termini di benessere economico.

Dopo la transizione al regime democratico, le industrie produttive ed estrattive non possono più negare salari di mercato, debbono permettere le attività sindacali, ma sostituiscono la mano d’opera con la tecnologia, dove possibile. Scarseggia la formazione di qualità fra i Sudafricani non bianchi, che perciò hanno un alto tasso di disoccupazionePersistono gli inceppamenti nel sistema pubblico di istruzione esistenti durante l’apartheid, perciò le aziende assumono piuttosto immigrati anglofoni dello Zimbabwe per posizioni semi-qualificate (solo il 30 per cento dei Sudafricani parla inglese, solo il 10 per cento lo parla come prima lingua). Ciò ha alimentato forti sentimenti xenofobi, perché gli immigrati sono visti come “ladri” dei posti di lavoro disponibili.

Occorrerebbero nuove industrie per dar lavoro a una parte maggiore della popolazione, dunque occorrono investimenti. Molti pensavano che la fine dell'apartheid avrebbe portato investimenti stranieri, ma non è stato così. Gli investitori temono l’introduzione di politiche populiste e il rischio di espropriazione. La paura che il Sudafrica possa seguire la strada dello Zimbabwe e avviare una politica di espropriazione inibisce il flusso di capitali.

Da un lato il governo sudafricano deve cercare di risolvere i grandi problemi socio-economici del Paese, e per farlo dovrebbe aumentare la spesa pubblica per programmi di utilità sociale. D’altro lato il governo non può aumentare la pressione fiscale per non bloccare gli investimenti, perciò non ha le risorse per far fronte alle urgenti esigenze sociali.

Poiché gli investimenti ristagnano, l'ANC (che da movimento di liberazione nazionale è diventato partito di governo dal 1994 a oggi) e i suoi alleati sindacali hanno visto i loro interessi divergere nel tempo. Il paesaggio politico sudafricano si è riconfigurato, i nuovi gruppi che rappresentano interessi disparati non si schierano più come 30 anni fa. La coalizione che ha distrutto l'apartheid sta perdendo la capacità di governare con efficacia.

Oggi gran parte del sostegno dell’ANC proviene da leader rurali che hanno un certo grado di autonomia dal governo centrale. Per loro il presidente Jacob Zuma ha costruito una rete di patronage – che molti chiamano capitalismo clientelare – per cui i leader tribali che sono sostenitori politici di Zuma e dell'ANC ricevono contratti pubblici lucrativi. Il partito ha bisogno di loro per rimanere al potere ma questa dipendenza istituzionalizzata dalle reti di patronage è un vincolo politico sempre più stretto, che probabilmente porterà ad ulteriori divisioni nel partito. La lealtà politica oggi passa attraverso istituzioni locali e tribali, aumentando la competizione tra le diverse identità, non la coesione.

Non esiste una concezione unificata dell’identità sudafricana, non esiste una nazione omogenea. Da secoli esistono lealtà e interessi concorrenziali e divisi, soltanto temporaneamente accantonati per porre fine all'apartheid. Il Sudafrica è essenzialmente una raccolta di piccole nazioni, tutte in concorrenza fra loro. Senza un'identità nazionale coerente, il Paese non riesce a trovare soluzioni ai suoi problemi sociali ed economici, benché abbia il potenziale per un grande sviluppo.

 

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