Il futuro della Siria

09/09/2017

L’ISIS è in ritirata, i gruppi ribelli e il governo di Assad si parlano attraverso i loro ‘protettori’ Americani e Russi. La guerra civile è alla fine? Se il passato serve come base per predire il futuro, la storia del Libano ci dice che la guerra civile continuerà ancora a lungo. Il Libano è molto più piccolo della Siria e aveva tradizioni di migliore convivenza fra gruppi etnico-religiosi rispetto alla Siria. La guerra civile iniziò nel 1975 e durò 15 anni; in Siria siamo al sesto anno, il paese è un caos di forze in lotta. 

Il gruppo di gran lunga più consistente in Siria sono gli Arabi sunniti, rappresentati da al Qaeda, dall’ISIS e dal Free Syrian Army. Alcuni sono anche sostenitori di Assad. Né al Qaeda né l’ISIS potranno sedersi al tavolo delle trattative, essendo rifiutati da Americani, Russi e da quasi tutte le altre forze in gioco. Ma il Free Syrian Army è debole e non può imporsi a nessuno. La maggioranza degli Arabi sunniti dunque non ha rappresentanza dal volto accettabile, credibile, perciò non farà sentire la propria voce al tavolo dei negoziati con autorevolezza.

Poi ci sono i Curdi, che cercano qualche forma di autonomia, se non di indipendenza, e gli Alawiti che sostengono Assad. Anche altre piccole minoranze locali sostengono Assad, ma complessivamente Assad può contare al massimo sul 12% della popolazione, tutte persone che non accetteranno il governo della maggioranza in Siria, perché sanno che sotto un governo arabo sunnita perderebbero lavoro e diritti, forse anche la casa e la vita. Lo stesso temono i Curdi, pronti a difendere la fetta di territorio che si sono conquistati combattendo contro l’ISIS.

Qualunque accordo eventualmente raggiunto sulla carta crollerà sul terreno, come è avvenuto in Iraq alla fine della guerra contro Saddam. Le aree arabe sunnite sono per lo più lungo le rive dell’Eufrate, circondate dai deserti. Le aree alawite sono per lo più sulle sponde del Mediterraneo e nella fascia collinare alle spalle. I Curdi sono a nord. La soluzione più ragionevole sarebbe dividere la Siria in tre aree: quella Curda, quella arabo-alauita, quella arabo-sunnita. La zona arabo-sunnita però sarebbe lacerata dalla guerra civile al suo interno, in base a divisioni sia ideologiche sia tribali.

Ora i miliziani di al Qaeda e dell’ISIS si stanno disperdendo fra la popolazione, abbandonano le armi e tornano alla vita civile, pronti alla guerra appena si ritireranno Russi e Americani o altre forze internazionali. Cercheranno anche di raccogliere nuovi adepti in Giordania e in Arabia Saudita. L’ISIS controllava oltre mezzo milione di persone soltanto nelle due cittadine di Raqqa e di Deir el Zour, abitate da Arabi sunniti, senza contare il resto del territorio. Dopo la caduta dell’ISIS buona parte degli abitanti continueranno a desiderare l’indipendenza da altre forze, avranno nostalgia per lo Stato Islamico e lo faranno risorgere in qualche modo. Per altro le forze di Assad lasciano corridoi aperti perché i miliziani dell’ISIS si ritirino, vadano altrove, anziché combattere e morire. Si raduneranno altrove in abiti civili e torneranno a colpire appena potranno, forse costituendo qualche gruppo islamista di nome diverso, così come hanno sempre fatto i miliziani di al Qaeda (che ora in Siria si chiamano Tahrir al-Sham).

L’ideologia islamista non è vinta né in Siria, né in Iraq, né in Afghanistan. È al potere in Iran. L’ideologia è ancora viva, ma è un’ideologia settaria, non unificante, che provocherà altre guerre civili fra islamici. Le guerre di religione in Europa durarono secoli, quelle islamiche non si esauriranno in pochi lustri.

Per noi Europei e Occidentali è meglio se l’impeto violento degli islamisti si accende e si esaurisce in guerre sul loro territorio, a casa loro, anziché insanguinare le nostre strade. Non abbiamo nessun interesse a sfiancarci per pacificare la regione, se poi gli islamisti si rivolgono contro di noi.

Russia e USA non possono andarsene del tutto, ma non hanno nessuna intenzione di impegnarsi di più: il Medio oriente è una palude in cui affondano le popolazioni locali, mentre gli altri camminano prudentemente sugli argini e stanno a sorvegliare che nessun ‘cattivo’ diventi troppo potente e unifichi le popolazioni sotto un unico dominio.

Si spera che non si incendino anche la Giordania, dove ci sono circa un milione di rifugiati siriani, e l’Egitto, dove la permanente crisi economica rende scontenti molti. L’Arabia Saudita poi è un covo di gruppi islamisti estremi, che la monarchia controlla e manovra – ma fin quando?

Rimangono da valutare le posizioni di Iran e Turchia, entrambi paesi attivi nella regione e interessati ad avere in Mesopotamia (Iraq e Siria) stati amici e collaborativi. Iran e Turchia sono inevitabilmente rivali per l’egemonia sulla regione, mentre la Russia vuole evitare che la Mesopotamia e il Caucaso costituiscano un blocco unico guidato dalla Turchia o dall’Iran, dando vita a un centro di potere capace di insidiare gli interessi russi nel Mar Nero e nel Caucaso. Il gioco di interessi incrociati limiterà la possibilità di interventi risolutivi sia della Turchia sia dell’Iran.

Possiamo provar pena per le popolazioni coinvolte, ma non possiamo dar loro la possibilità di vivere in pace. Possiamo però apprezzare di più la fortuna di vivere in uno stato laico e democratico, tenerci care le nostre istituzioni e coltivare la solidarietà sociale e la coesione territoriale, non le divisioni.

 

 

La soluzione più ragionevole sarebbe dividere la Siria in tre aree: quella Curda, quella arabo-alauita, quella arabo-sunnita. La zona arabo-sunnita però sarebbe lacerata dalla guerra civile al suo interno

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