Il nuovo presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev, ha avviato una politica molto diversa da quella dei predecessori: ha aperto il paese alle operazioni delle ONG occidentali, inclusa Human Rights Watch, ha cautamente aperto i mercati valutari, sta pensando di riammettere nel paese i giornalisti occidentali, tratta con gli USA possibili accordi per le comunicazioni militari. Ha poi compiuto un gesto eclatante, impensabile per i predecessori: di fronte alle proteste della popolazione contro la demolizione di un quartiere per far spazio a un nuovo aeroporto, ha sospeso le opere per dar modo di discuterne e verificare le possibili alternative. Il nuovo presidente sta abbandonando la politica repressiva e accentratrice dei predecessori e ricerca il consenso dell’opinione pubblica.
Forse il passo più importante e più rischioso Mirziyoyev lo sta compiendo nei riguardi dell’Islam. Dopo un secolo di laicità, in cui l’Islam era relegato rigorosamente alla sfera privata, il nuovo governo ha riconosciuto i seminari islamici come istituti pubblici di educazione superiore. Ma c’è il rischio che gli islamisti si imbaldanziscano, sentendosi importanti come base di sostegno del potere del Presidente.
Il Movimento Islamico è stato combattuto e represso duramente in Uzbekistan dagli anni ’90 sino a ora. Ora c’è il rischio che il Presidente, che evidentemente spera di utilizzare gli islamisti per consolidare il potere, finisca invece col diventarne il burattino e la vittima. La popolazione è fortemente religiosa, anche superstiziosa, è facile che ceda alla predicazione islamista.
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