La Belt and Road Initiative in Europa e le preoccupazioni dell’UE

01/06/2017

Fra le iniziative Belt and Road lanciate da Pechino rientrano anche progetti per la costruzione di porti sul Mediterraneo, che possano diventare alternativi a quelli del Nord Europa. Alcune società cinesi hanno proposto di mettere in rete cinque porti dell’Adriatico per servire il Centro Europa: Marghera, Ravenna, e Trieste in Italia, Capodistria in Slovenia e Fiume in Croazia.

Ma la pedina più importante di Pechino nel Mediterraneo resta il porto del Pireo in Grecia. La COSCO cinese opera nel porto dal 2010, quando ha firmato un accordo di gestione per 35 anni a 4,3 miliardi di dollari. Il Pireo permette alle aziende cinesi tempi di consegna di dieci giorni inferiori rispetto ai porti del nord Europa. Pechino ha fatto investimenti per ampliare il porto e per costruirvi centri logistici. Questo ha allarmato Germania e Olanda, preoccupate che la supremazia di Amburgo e Rotterdam possa essere minata dalla concorrenza dei porti sul Mediterraneo.

Pechino cerca di incrementare la sua presenza in Europa con accordi bilaterali, evitando il controllo di Bruxelles, che teme che vengano minati gli standard commerciali europei e che si violino le regole relative agli investimenti.

Lo sviluppo del Pireo, grazie al quale Pechino spera di accrescere le sue esportazioni verso l’Europa sudorientale e centrale, richiede vie di trasporto attraverso i Balcani. Per collegare il Pireo all’Europa centrale la Cina ha proposto un progetto di ammodernamento di 350 chilometri di linee ferroviarie tra Belgrado e Budapest, al momento al vaglio dell’Unione Europea. La Cina ha inoltre finanziato progetti stradali, energetici e commerciali in tutti i Balcani.

Pechino ha in programma di potenziare il trasporto merci su rotaia tra la Cina, Amburgo e Rotterdam, attraverso la Polonia la Russia e l’Asia Centrale. L’obiettivo è fare in modo che entro il 2020 queste tratte ferroviarie possano essere percorse da 5000 treni merci all’anno (nel 2016 sono stati 1800). Il trasporto ferroviario è decisamente più costoso di quello via mare, ma è molto più rapido e crea alleanze d’interessi con operatori di servizi e di rifornimenti lungo i territori attraversati.

Ottenere l’approvazione dell’Unione Europea a questo genere di progetti non è semplice per Pechino. C’è scetticismo, talvolta addirittura sospetto, da parte di alcuni paesi membri. Ma la Grecia, indebitata e in grave crisi, ha accettato a braccia aperte i finanziamenti cinesi. Anche Ungheria e Polonia hanno promosso la ‘nuova via della seta’, vista come un’opportunità per smarcarsi da Bruxelles e migliorare le proprie infrastrutture. La collaborazione della Cina con i paesi dell’Europa Centrale e Orientale è così avanzata che nel 2012 è stata creata un’apposita piattaforma subregionale, la cosiddetta 16+1.

Finora gli investimenti cinesi nell’Europa Orientale non hanno mai superato l’1% del PIL del paese interessato, fatta eccezione per l’Ungheria. Pechino privilegia fusioni e acquisizioni che consentono di impiegare i propri manager, senza dover trasferire know how tecnologico avanzato a équipe locali. Inoltre la Cina non ha ancora incrementato in modo significativo le importazioni dall’Europa Orientale, anzi negli ultimi tre anni il deficit commerciale tra Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Cina è cresciuto. Ma ogni paese può negoziare condizioni migliori per il futuro.

La Serbia, che non fa parte dell’UE e ha gravi carenze di infrastrutture, ha negoziato e ottenuto di ridurre la linea ad alta velocità prevista da Pechino – che vuole esportare treni ad alta velocità come prova della propria competenza tecnologica − a una rete ferroviaria meno costosa e medio-veloce, che potrà essere utilizzata anche localmente.

Pechino cerca di incrementare la sua presenza in Europa con accordi bilaterali, evitando il controllo di Bruxelles, che teme che vengano minati gli standard commerciali europei e che si violino le regole relative agli investimenti. L’UE vuole anche che le aziende europee in Cina possano competere con le concorrenti cinesi ed è preoccupata per la creazione di joint venture fra aziende europee ad alta tecnologia e aziende cinesi a partecipazione statale.

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