La Russia e il pericolo jihadista in Cecenia

25/05/2017

La Russia ha fatto di tutto per mantenere il potere in Cecenia, stato a maggioranza musulmana del Caucaso settentrionale, semi-autonomo e sempre insofferente al controllo russo. Per molto tempo Mosca ha sostenuto la famiglia Kadyrov perché la considerava in grado di imporre e mantenere una parvenza di ordine, ma ora il Cremlino è in difficoltà anche sul fronte interno e ha preoccupazioni maggiori, non può più dedicare tempo e risorse per assicurare la stabilità della Cecenia.

Dopo il crollo dell’URSS la Cecenia − parte della Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Ceceno-Inguscia − dichiarò l’indipendenza dalla Russia e si separò da quella che divenne l’Inguscezia. Nel 1994 scoppiò la Prima guerra cecena, che durò fino al 1996 e vide il tentativo della Russia di riaffermare la propria sovranità su questa regione, cosa che riuscì solo con la Seconda guerra cecena, iniziata nel 1999 e protrattasi per gran parte del decennio successivo. Mosca si guadagnò allora la fedeltà di Akhmad Kadyrov, che era stato muftì durante la breve indipendenza, il quale nel 2003 divenne presidente di una Repubblica cecena nuovamente sotto controllo russo.

Nei conflitti con la Russia si distinsero tre diverse fazioni della società cecena: i nazionalisti, gli islamisti e i jihadisti. Col passare degli anni i nazionalisti persero peso, mentre i jihadisti transnazionali legati ad al Qaeda divennero i principali portavoce delle rivendicazioni indipendentiste. I jihadisti assassinarono Akhmad Kadyrov. Nel 2007 Putin nominò presidente il figlio Ramzan Kadyrov, ormai trentenne. A questo punto i Russi potevano dire di aver fortemente ridotto la minaccia jihadista nella regione, anche grazie al fatto che un gran numero di jihadisti ceceni erano andati a combattere in Medio Oriente e nell’Asia meridionale. Infatti negli ultimi anni i Ceceni hanno avuto un ruolo chiave nello Stato Islamico in Siria e in Iraq.

Ora che la Russia attraversa una fase di declino, la sua capacità di gestire e influenzare i paesi alla sua periferia è fortemente ridimensionata e la Cecenia potrebbe essere la prima a farne le spese. Gli altri governi regionali guardano con apprensione a questa nuova situazione, coscienti che l’allentamento del controllo russo crea spazi di maggiore indipendenza, ma allo stesso tempo fornisce opportunità ai nemici interni ed esterni. A trarne vantaggio potrebbe essere in primo luogo il jihadismo.

Finora il clan Kadyrov è stato lo strumento attraverso il quale la Russia ha garantito la coesione della Cecenia e del Caucaso settentrionale ma il recente scandalo sulla repressione degli omosessuali ceceni, che avrebbe provocato una dozzina di morti e un centinaio di arresti, ha attirato l’attenzione del mondo e ha costretto Putin, che pur non è un grande sostenitore dei diritti dei gay, a prendere parzialmente le distanze da Kadyrov e autorizzare indagini. Kadyrov respinge in toto le accuse, che bolla come assurde per il semplice fatto che, a detta sua, in Cecenia non esistono omosessuali, grazie all’Islam. Il presidente ceceno non è nuovo a esternazioni che sostengono la necessità di conformarsi alle norme religiose: Kadyrov si presenta oggi come il difensore della fede islamica in Cecenia, ha indurito i codici sull’abbigliamento delle donne, sostiene la separazione dei sessi e la poligamia. Mosca è rimasta in silenzio. Ma il problema dell’assecondare la religione è che sono i fondamentalisti a trarne i maggiori vantaggi: paradossalmente i governi musulmani che sfruttano il fattore religioso per mantenere la stabilità finiscono di solito per legittimare i jihadisti.

La Russia ha bisogno di Kadyrov per controllare la Cecenia, ma è vero anche il contrario: senza il sostegno del Cremlino Kadyrov non potrebbe tenere a bada i dissidenti e mantenere il feudo. Se Mosca allenta il controllo, i jhadisti e gli altri rivali di Kadyrov cercheranno di approfittarne. Lasciata a se stessa, la Cecenia è destinata a sprofondare nuovamente in conflitti tra fazioni e questo è il contesto più favorevole ai jihadisti, capaci di fare dell’elemento religioso un efficacissimo fattore di coesione. 

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