L’impossibilità di uno stato palestinese

24/03/2017

Gli abitanti di Gaza e del West Bank hanno un PIL lordo pro capite di 2867 dollari annui e un’aspettativa media di vita di 74 anni: condizioni molto simili a quelle dei cittadini della Giordania e dell’Egitto, molto superiori a quelle dei cittadini dell’India, per non parlare di molti paesi africani. I 95 milioni di cittadini eritrei, ad esempio, hanno un PIL annuo pro capite di soli 500 dollari. Tutto bene? No, perché il reddito medio è garantito non dal funzionamento dell’economia, ma dai sussidi internazionali. Gli abitanti del West Bank sono anche più ricchi di quelli di Gaza perché circa 150000 fra loro lavorano in Israele, con remunerazioni pari a quelle degli Israeliani.

Che c’è di male nel dipendere dagli aiuti internazionali? La mancanza di indipendenza. Molti aiuti sono mirati ad alimentare conflitti. Le armi di cui abbonda Hamas a Gaza sono fornite o pagate dall’Iran, ma debbono essere usate per uccidere e farsi uccidere. Parte dei sussidi che l’Autorità Palestinese riceve dall’Europa e dagli USA sono usati per mantenere le famiglie dei terroristi incarcerati in Israele o giovani che si addestrano al combattimento con gli Israeliani, anziché lavorare. Si è creato un circolo vizioso: la comunità internazionale provvede aiuti in varie forme per evitare scoppi di violenza nella massa di giovani disoccupati, ma parte di quegli aiuti deve andare ad alimentare violenza e disoccupazione anziché attività produttive, altrimenti gli aiuti si interromperebbero.

Il circolo vizioso non riesce a interrompersi perché eventuali attività produttive nel West Bank e a Gaza dovrebbero trovare uno sbocco ai mercati, e i mercati contigui, naturali, sono l’Egitto e la Giordania. Ma il commercio fra West Bank e Giordania, o fra Gaza ed Egitto, è modestissimo da oltre 20 anni. Nel 2015 il West Bank ha esportato in Giordania beni per 60 milioni di dollari e ne ha importati per 107 milioni: un’inezia. Anche le esportazioni del West Bank all’Arabia Saudita e agli altri paesi del Golfo debbono passare attraverso la Giordania, ma i Giordani hanno timore della concorrenza palestinese. Il West Bank esporta beni per soli 61 milioni di dollari all’anno verso i paesi arabi, la Giordania ne esporta per oltre 2 miliardi. Se l’economia del West Bank non si integra con quella della Giordania, o con quella di Israele, non potrà mai sostenere la popolazione.

L’integrazione economica con Israele è resa estremamente difficile dalle condizioni politiche: ora il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) in Occidente è addirittura arrivato a far chiudere le fabbriche israeliane che davano lavoro a decine di migliaia di Palestinesi nel West Bank, perché facevano parte di insediamenti considerati ‘illegali’ dal punto di vista politico. 150000 Palestinesi si spostano ogni giorno per andare a lavorare in Israele (pochi rispetto al periodo di tranquillità che si ebbe negli anni ’90), ma ogni crisi politica mette seriamente a rischio la possibilità di continuare il loro lavoro.

Non si intravvedono soluzioni per ora. Forse soltanto un eventuale accordo regionale che preveda l’integrazione delle economie di tutti gli stati della regione, Israele incluso (una Comunità Economica degli Stati del Medio Oriente), potrà creare le condizioni che permetteranno davvero l’indipendenza politica del West Bank, la cessazione della dipendenza dei Palestinesi dalle sovvenzioni e dai condizionamenti stranieri e la pace fra Israeliani e Palestinesi. Per ora tale Comunità non è neppure ipotizzabile, ma non è detto che le condizioni non cambino, prima o poi.

 

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