La Siria in attesa

01/03/2017

Dopo la riconquista di Aleppo da parte dell’esercito regolare lo scorso dicembre e il primo incontro ad Astana fra i gruppi ribelli, il governo di Assad, i rappresentanti della Russia, della Turchia e dell’Iran, i combattimenti sul terreno siriano sono soltanto quelli contro l’ISIS nell’area di al Bab. L’11 febbraio 2017 i ribelli del gruppo Ahrar al Sham e unità dell’esercito turco sono entrate nella città da ovest, mentre l’esercito siriano è entrato nel sobborgo meridionale di Tadif, ma la città non è ancora caduta.

Da qualche settimana i telegiornali non ci parlano più di guerra in Siria, ma la pace è tutt’altro che ristabilita. C’è una pausa in cui le parti in gioco si riorganizzano e rivalutano la situazione e le possibilità di manovra. A metà febbraio riprenderanno gli incontri ad Astana. Sono invitati anche la Giordania, gli Stati Uniti e il rappresentante ONU Staffan De Mistura.

Ecco le parti in gioco nel contesto siriano:

Bashar al Assad

Sale al potere nel 2000 dopo la morte del padre, che aveva guidato il paese per quasi 30 anni appoggiandosi a una coalizione di sette religiose ed etniche minoritarie contro la maggioranza araba e sunnita. Gli Assad appartengono a una minoranza araba sciita di rito alawita. Nel marzo del 2011 grandi proteste popolari chiedono le dimissioni del Presidente. Assad reprime le manifestazioni con la forza, ma molti oppositori prendono le armi. È la guerra civile. Gli scontri fra i ribelli e l’esercito raggiungono nel 2012 la capitale Damasco e la seconda città del paese, Aleppo. A sostegno di Assad intervengono le milizie libanesi di Hezbollah, sostenute dall’Iran, e reparti di Guardie della Rivoluzione iraniana. A settembre 2015 interviene sul terreno anche la Russia, per evitare che la costa siriana del Mediterraneo cada in mano ai ribelli.

 

 

La Russia

Ha una base navale in Siria a Tartus, da cui sorveglia l’accesso al Mar Nero, pronta a intervenire in caso di pericolo. La Russia dichiara di entrare in guerra contro l’ISIS, ma in realtà inizia una campagna contro i ribelli nella zona di Aleppo, nella regione al confine con la Turchia. L’entrata in guerra inizia con lo spettacolo dei razzi russi che raggiungono la regione a nord di Aleppo da navi ormeggiate in mezzo al Mar Caspio, attraversando teatralmente i cieli di tutto il Medio Oriente. La Turchia mette alla prova la determinazione russa abbattendo un aereo russo lungo il proprio confine, ma è costretta a venire a patti con Putin. Così Russia e Turchia diventano inaspettatamente alleate in nome della lotta all’ISIS, insieme ad Assad, ai gruppi ribelli e all’Iran, benché i partner dell’alleanza abbiano interessi divergenti.

 

 

La Turchia

Ostile ad Assad e convinta che cada in fretta, la Turchia sostiene subito una parte dei ribelli e accoglie quasi 3 dei 4,8 milioni di Siriani che abbandonano il paese a causa del conflitto. Il suo interesse è estendere la propria egemonia nel nord della Siria ed evitare che si formi un’entità politica curda lungo i suoi confini, che potrebbe collaborare con i Curdi della Turchia per creare uno stato unico, togliendo alla Turchia parte del suo territorio, in particolare il ponte di terra fra i giacimenti di petrolio del nord dell’Iraq e il porto di Ceyhan. La Turchia ha forti legami con Ahrar al Sham ma è ostile a Jabhat Fatah al Sham, oltre che all’ISIS e ai gruppi curdi del YPG.

 

 

I Curdi de YPG

Sono il principale alleato dell’Occidente nella guerra all’ISIS, ma la Turchia li considera terroristi e li bombarda se operano nella parte di Siria che considera di suo interesse. Nell’autunno 2016 la Turchia ha lanciato l’operazione ‘scudo dell’Eufrate’ nella regione fra l’Eufrate e Aleppo, chiedendo agli USA di fermare ogni attività del YPG in quel tratto di territorio. Il YPG non ha potuto far altro che accettare, anche se non rinuncia alla speranza di crearsi una regione autonoma. I Curdi sono un’etnia di montagna con una lingua propria. Sono in grande maggioranza sunniti.

 

 

Lo Stato Islamico (IS,ISIL, ISIS, Daesh)

Gruppo fondato da Abu Musab al Zarqawi, leader di al Qaeda succeduto a Bin Laden, spostatosi dall’Afghanistan in Iraq per costituire e guidare un gruppo di combattenti antiamericani, in cui affluiscono gli ex ufficiali di Saddam Hussein. Nel 2006 al Zarkawi muore e gli succede l’iracheno Abu Bakr al Baghdadi, che alimenta e sfrutta la rabbia dei sunniti iracheni contro le politiche settarie del governo sciita di Bagdad. Nel 2011 il gruppo si aggiunge agli oppositori di Assad in Siria. Nel 2013, avendo ormai conquistato vasti territori a cavallo fra Iraq e Siria, al Baghdadi proclama la nascita di un Califfato islamico con ambizioni universali e cellule oggi sparse in quasi tutti i paesi islamici, dalle Filippine al Mali. Dal 2016 ha perso molti territori in Siria e in Iraq, ma a inizio del 2017 controlla ancora larga parte del bacino dell’Eufrate.

 

 

L’esercito Siriano Libero (Free Syrian Army)

Formato da ex membri dell’esercito di Assad che vorrebbero una Siria democratica e sostenuto dall’Occidente, non è mai riuscito a centralizzare il controllo delle varie milizie che gli si sono affiliate e ha ormai un ruolo marginale. Resta la principale forza d’opposizione nel sud della Siria, mentre nel nord della Siria è subordinato ai gruppi jihadisti.

 

 

I gruppi jihadisti 

I gruppi jihadisti sostenuti dagli Arabi sunniti si formano ed entrano nel conflitto verso la metà del 2011, quando Assad scarcera più di 1000 vecchi combattenti delle guerre in Iraq. Qatar, Arabia Saudita e Turchia sostengono politicamente e finanziariamente gruppi jihadisti diversi, spesso in feroce opposizione tra loro, occasionalmente alleati contro Assad o contro l’ISIS, ma mai per lungo tempo. Ecco i gruppi più importanti:

- Hayat Tahrir al-Sham nata nel gennaio 2017 dalla fusione di vari gruppi, primo per importanza Jabhat Fath al Sham, già branca siriana di al Qaeda fino al luglio 2016 (quando si chiamava Jabhat al Nusra), composta soprattutto da Siriani che hanno combattuto contro gli Americani in Iraq. La nuova formazione è guidata da Hashim al-Sheikh (conosciuto anche come Abu Jabir) e controlla il nord ovest della Siria, in particolare la zona di Idlib, vicino al confine con la Turchia. È sostenuto dall’Arabia Saudita. Hayat Tahrir al-Sham si è presentata come “un’entità indipendente, non un’estensione di fazioni o organizzazioni precedenti”, tentando così di prendere le distanze da al Qaeda e dai gruppi inseriti dagli Stati Uniti nella lista delle organizzazioni terroristiche. Abu Jabir si è inoltre apertamente contrario ai negoziati di Astana, il cui intento sarebbe quello di “soffocare la rivoluzione e incoronare il carnefice”, cioè Assad.

- Ahrar al Sham: un tempo molto vicino a Jabhat Fatah al Sham, con cui condivideva rifornimenti ed equipaggiamento, ora è alleato della Turchia ed è entrato in rotta con il gruppo di al Golani e anche con quello di Abu Jabir. A gennaio del 2017 migliaia di combattenti di vari gruppi ribelli minori hanno deciso di unirsi ad Ahrar al Sham e presentarsi uniti contro quello che era ancora Jabhat Fatah al Sham (sopra). La rivalità fra i due gruppi ha permesso alle forze di Assad di riconquistare Aleppo.

 

 

L’Iran

Sostiene il governo di Assad in Siria e l’attuale governo iracheno filo-sciita non soltanto con rifornimenti e consiglieri militari, ma anche con combattenti sul terreno. Prima dell’intervento russo Assad è riuscito a non perdere il potere, nonostante la defezione e il passaggio ai ribelli di parte del suo esercito, soltanto grazie all’intervento di molte migliaia di combattenti libanesi di Hezbollah, armati e addestrati dall’Iran, e di decine di migliaia di combattenti iraniani della Guardia della Rivoluzione Iraniana. L’Iran aspira da lungo tempo ad avere l’egemonia su tutta la Mesopotamia fino al Mar Mediterraneo per avere il controllo delle rotte marittime e terrestri attraverso le quali passa il petrolio di tutti i paesi del Medio Oriente. A questa ambizione di oppongono strenuamente sia gli Arabi del Golfo sia i Turchi, che non vogliono un Iran troppo potente ai loro confini. Neppure la Russia vuole un Iran troppo potente, tanto meno gli USA. Ma tutti questi paesi sono pronti a dialogare con l’Iran per coinvolgerlo in una possibile ridefinizione dei confini e degli schieramenti degli stati della Mesopotamia. 

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