La globalizzazione delle produzioni ha finito il suo corso?

10/06/2016

Negli ultimi decenni i prodotti finiti realizzati in un unico paese sono diventati rari, perché la globalizzazione ha allungato enormemente le filiere produttive. Qualsiasi oggetto tecnologico di uso quotidiano oggi è composto di centinaia di pezzi che provengono da molti paesi diversi e sono assemblati ancora in un altro paese. Ora però la robotica avanzata e le tecnologie basate su software stanno aprendo la possibilità di filiere di produzione molto più corte, con conseguenze che incominciamo a intravedere.

Sessant’anni fa l’americano Malcom McLean fece partire da un porto del New Jersey la prima nave portacontainer, cambiando per sempre il trasporto delle merci. Anche se occorsero anni prima che i containers divenissero di uso comune, la loro introduzione, che rende rapido e facile smistamento, carico e scarico delle merci, ha drasticamente tagliato i tempi e i costi di movimentazione e di trasporto. Oggi solcano i mari navi che trasportano 20000 containers ognuna, con pochissimo costo di personale e di carburante. La vicinanza del luogo di produzione a quello di consumo è divenuto un fattore quasi irrilevante, perciò è convenuto spostare le produzioni in luoghi lontani, ma a basso costo di manodopera: la Cina, il Sudest asiatico, l’India. Tanto più che il WTO (World Trade Organization) ha portato altre agevolazioni al commercio globale: la riduzione dei dazi, la classificazione doganale unica in tutto il mondo (armonizzazione tariffaria). Tutto questo è andato a vantaggio delle industrie e dei consumatori, ha decuplicato il volume globale dei commerci fra il 1980 e il 2007, ma ha aperto la competizione fra le aziende e gli operai di tutto il mondo e provocato la chiusura di molte industrie in Occidente, con conseguente disoccupazione e impoverimento di larghe fasce di popolazione. Invece è cresciuta molto rapidamente l’economia di paesi come la Cina, la Corea, Taiwan, Hong Kong e Singapore.

Ora inizia una nuova epoca basata sulla robotica avanzata, l’intelligenza artificiale e la produzione per accumulo con stampanti 3D. Queste tecniche ridurranno drasticamente i costi della manodopera nei processi tradizionali.

La robotica non è una novità nella produzione industriale, ma l’abilità dei robot e la complessità della loro programmazione stanno crescendo in modo esponenziale. L’automazione del processo di assemblaggio, che per molte industrie è ancora manuale, probabilmente riporterà molte produzioni dai paesi a basso costo di manodopera ai paesi di consumo, accorciando le filiere. Oggi nelle produzioni industriali ogni singolo componente viene stampato con costosi stampi di acciaio ad alta precisione. Per ammortizzare il costo di questi stampi occorrono produzioni di larghissima scala, tutte uguali. I singoli componenti vengono poi assemblati in linea, con impiego prevalente di mano d’opera umana, perché i robot d’uso corrente oggi non sono flessibili, ogni robot sa compiere soltanto qualche operazione. Perciò i robot compiono soltanto le operazioni più pericolose e più faticose, quelle leggere vengono svolte da persone. I nuovi robot saranno invece capaci di compiere una grande quantità di operazioni diverse, perché saranno ‘intelligenti’.

Le stampanti 3D elimineranno anche la necessità di stampi di acciaio, perché per cambiare la forma e la struttura di un ‘pezzo’ basterà modificare il programma a computer, il che sarà molto più rapido e molto meno costoso che fare nuovi stampi. Non sarà più necessario contare su grandi produzioni per ammortizzare i costi degli stampi, se gli stampi non saranno più necessari. Si potrà produrre a costi competitivi anche piccole quantità, accanto al luogo di utilizzo del prodotto finito.

La riduzione della distanza e del numero di passaggi della filiera produttiva comporterà una riduzione del volume globale dei commerci, minor consumo di carburanti nel trasporto, minor consumo di acciaio per stampi.

I paesi poveri vedranno diminuire la possibilità di sviluppare la propria economia attirando investimenti stranieri con il basso costo della mano d’opera. La concorrenza economica fra i vari paesi del globo si svilupperà piuttosto sull’offerta di migliori infrastrutture tecnologiche (internet gratis ovunque, efficienti trasporti interni) e di agevolazioni fiscali.

Le nuove tecnologie hanno ancora ostacoli da superare, perciò i cambiamenti non saranno repentini. Le stampanti 3D raggiungeranno il pieno potenziale soltanto quando la stessa ‘stampante’ sarà in grado di produrre oggetti composti da materiali diversi, cosa che potrebbe richiedere ancora anni. La stampa ad accumulo di metalli con stampanti 3D è ancora troppo costosa e troppo lenta. I robot devono diventare ancora molto più abili e più rapidamente programmabili. Ma poco a poco che questa rivoluzione industriale prenderà piede e la globalizzazione diverrà un modello di sviluppo del passato. Il commercio diventerà più regionale. A guadagnarci saranno i paesi pionieri nell’innovazione tecnologica: Stati Uniti, Europa del Nord, Giappone e Corea del Sud. Anche la Cina sarà in grado di sfruttare in pieno le nuove tecnologie grazie alle sue ormai solide basi ingegneristiche, al forte governo centrale, alla politica di promozione dello sviluppo tecnologico e alle acquisizioni di aziende high-tech straniere.

Cambieranno anche i rapporti geopolitici fra le varie regioni del globo, in parallelo con i cambiamenti del sistema produttivo, anche se è troppo presto per ipotizzare previsioni.

Ora inizia una nuova epoca basata sulla robotica avanzata, l’intelligenza artificiale e la produzione per accumulo con stampanti 3D. Queste tecniche ridurranno drasticamente i costi della manodopera nei processi tradizionali.

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