Il jihadismo in Europa e negli USA: le differenze

16/04/2016

Dopo gli attentati a Bruxelles le forze di polizia di vari paesi d’Europa – Belgio, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna − hanno arrestato dozzine di presunti affiliati allo Stato Islamico. Simili operazioni possono contribuire a smantellare la rete jihadista in Europa, ma colpiscono la punta dell’iceberg, senza risolvere i problemi sottostanti.

Le storie del mondo islamico e dell’Europa si intrecciano per ragioni geopolitiche fin dagli albori dell’islam, con l’invasione della Spagna e della Francia da parte degli Omayyadi all’inizio dell’VIII secolo, le Crociate dalla fine dell’ XI alla fine del XIII secolo, l’assedio di Vienna da parte degli Ottomani nel XVI e XVII secolo e la colonizzazione europea del Nord Africa e del Sud est Asiatico dal XVII al XIX secolo. La caduta dell’Impero Ottomano in seguito alla Prima Guerra Mondiale e il controllo mandatario del Medio Oriente da parte di alcuni paesi europei legarono ulteriormente i destini di questi due mondi. La vicinanza del Nord Africa e della Turchia all’Europa mediterranea e la colonizzazione europea, sommati al desiderio di molti musulmani di cercare lavoro e istruzione in Europa, hanno fatto sì che oggi nel Vecchio Continente vivano molte persone di fede islamica. Ma la  convivenza non è priva di tensioni. Anche se alcuni musulmani europei appartengono a famiglie che vivono in Europa da quattro o cinque generazioni, non necessariamente sono integrati nella società europea:  spesso vivono isolati, in quartieri quasi esclusivamente musulmani. La crisi economica ha aggravato la situazione, causando livelli di disoccupazione drammatici. Le  vere o presunte discriminazioni nel mercato del lavoro hanno contribuito ad alimentare il risentimento di molti musulmani europei, che hanno perso ogni senso d’attaccamento al paese in cui vivono. Ne è derivato un contesto in cui i giovani musulmani, esposti alla retorica estremista, possono facilmente venire reclutati e coinvolti in attività delinquenziali, sovversive  o terroristiche. L’alto numero  di jihadisti europei che si è recato a combattere in favore dell’Isis in Iraq, Siria e Libia dimostra che lo scontento tra i musulmani europei è fortemente cresciuto negli ultimi anni. La crisi dei rifugiati, la polemica sorta in Francia per il divieto del burqa e la retorica islamofoba di alcuni politici danno più credibilità alla propaganda dei reclutatori jihadisti, secondo cui l’Europa sta attaccando l’islam.

Negli Stati Uniti, dove il modello di integrazione è assimilazionista, i musulmani sono più integrati nella società. Rappresentano anche una percentuale molto minore della popolazione, rispetto all’Europa. Coloro che si radicalizzano lo fanno generalmente da soli – via internet – senza ricevere addestramento. Spesso vengono arrestati perché per passare dalla teoria alla pratica cercano l’aiuto di altri individui isolati, che sono agenti dell’FBI o informatori della polizia che lavorano sotto copertura.

In Europa i musulmani vivono spesso concentrati in determinati quartieri delle città, in comunità quasi a se stanti all’interno delle quali crescono, si formano, si associano e lavorano. Perciò  i reclutatori possono servirsi di moschee, palestre e associazioni universitarie islamiche, oltre che delle carceri, per individuare le potenziali reclute, che vengono allontanate psicologicamente dalla comunità e quindi radicalizzate in piccoli gruppi. I reclutatori hanno spesso contatti con altre cellule europee e con jihadisti e gruppi al di fuori dell’Europa, che possono favorire il viaggio nei campi di addestramento o nelle zone di guerra. I giovani mal integrati non sono le uniche “prede” cui puntano i predicatori estremisti. Uomini adulti, con un livello d’istruzione elevato, una buona posizione lavorativa e la fedina penale pulita possono più facilmente viaggiare senza destare sospetti, perciò sono molto ‘corteggiati’ dai reclutatori. Così come le donne, impiegate a loro volta per la propaganda e come reclutatrici - occasionalmente anche in attentati.

Secondo un report di aprile 2016 dell’International Center of Counterterrorism i foreign fighters di origine europea sono tra i 3922 e i 4294. Non tutti sono jihadisti – alcuni sono nazionalisti di origine siriana o irachena - ma la maggior parte sono affiliati a gruppi jihadisti. I foreign fighters rientrati in Europa sono  un pericolo imminente, ma il problema maggiore sono gli estremisti in seno alle comunità islamiche europee, anche se non dispongono di addestramento militare. È molto difficile per l’intelligence e le forze dell’ordine identificare e combattere i jihadisti pericolosi, perché hanno un numero enorme di potenziali attentatori da monitorare. Il difficile coordinamento tra l’intelligence e le forze dell’ordine – talvolta non solo tra stati, ma anche all’interno dello stesso paese, come accade in Belgio – non fa che aggravare la situazione.

Anche se gli arresti che hanno seguito gli attacchi a Parigi e Bruxelles hanno sventato l’organizzazione di diversi attentati e tolto dalla circolazione altri potenziali attentatori, rimangono da  neutralizzare altre cellule dell’ISIS e di alQaeda, oltre ai molti jihadisti che si sono radicalizzati autonomamente nei loro quartieri. L’Europa deve capire e affrontare i motivi della radicalizzazione dei suoi musulmani, per poter combattere il problema alla radice, altrimenti il jihadismo continuerà molto a lungo. 

Anche se alcuni musulmani europei appartengono a famiglie che vivono in Europa da quattro o cinque generazioni, non necessariamente sono integrati nella società europea: spesso vivono isolati, in quartieri quasi esclusivamente musulmani. La crisi economica ha aggravato la situazione, causando livelli di disoccupazione drammatici.

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