Petrolio, panarabismo e islamismo
durante la Guerra Fredda

12/01/2016

Per capire le evoluzioni politiche del Medio Oriente e del mondo arabo occorre tener sempre presente come sono suddivise e sfruttate le riserve di petrolio e di gas. L’evoluzione ideologica e politica della regione è strettamente legata all’obiettivo di controllare e gestire queste risorse.

L’Egitto e la Siria, entrambi paesi arabi, hanno pochi giacimenti. L’Iraq, altro paese arabo, ha una grande ricchezza in petrolio, che però è soltanto una frazione dell’enorme quantità di petrolio dell’Arabia Saudita e dei piccoli Emirati del Golfo. L’Iran, paese islamico ma non arabo, ha più petrolio dell’Iraq e ha i secondi maggiori giacimenti di gas dopo la Russia. 

Fino ai primi anni ’50 resse l’assetto statale regionale creato dall’Occidente, vincitore delle due guerre mondiali. Ma nel 1952 l’Egitto dell’ambizioso colonnello Nasser depose il re e fece del paese una repubblica a partito unico, orientato verso il socialismo, perciò allineato con i Russi (era il periodo della Guerra Fredda). L’Arabia Saudita era invece schierata con gli Americani e l’Occidente, così come l’Iran dello Scià e la Turchia (vedasi mappa a lato).

Nasser promosse l’ideologia nazionale panaraba per unire in un unico stato o per lo meno in una federazione, Egitto, Libano, Siria e Iraq, anche per mettere in comune le risorse petrolifere dell’Iraq a vantaggio dei cittadini di tutti i paesi arabi della Mesopotamia e dell’Egitto. Successivamente si sarebbe cercato di includere nella federazione anche i paesi della penisola araba, con le loro immense ricchezze. La Siria, povera di petrolio, accettò perché aveva molto da guadagnare e nel 1958 entrò a far parte della Repubblica Araba Unita insieme all’Egitto. L’Iraq, ricco di petrolio, rifiutò il progetto del panarabismo perché avrebbe dovuto spartire i proventi del petrolio con Siria ed Egitto, perciò per alcuni anni i rapporti fra Egitto e Iraq divennero tesi, ostili. Questo convinse i Siriani a tornare a essere una repubblica indipendente nel 1961, dato che l’accorpamento all’Egitto non aveva portato vantaggi, ma soltanto rischi di guerra con l’Iraq.  

Neppure i Sauditi e gli Emirati si lasciarono convincere dall’ideologia panaraba, che avrebbe messo le loro enormi ricchezze petrolifere nelle mani di un unico ‘popolo arabo’ di cui gli Egiziani costituivano la maggioranza numerica. Propugnarono invece l’ideologia pan-islamica, che non voleva l’unificazione di tutti gli stati islamici, ma sosteneva che gli stati islamici dovevano ispirarsi alla sharia e riconoscere la preminenza spirituale della popolazione che custodisce i luoghi sacri dell’Islam, cioè la popolazione dell’Arabia Saudita. Per indebolire Nasser e il panarabismo i Sauditi finanziarono il movimento dei Fratelli Musulmani in Egitto, che Nasser mise al bando come organizzazione terrorista, perseguitandola. Però i Fratelli Musulmani svilupparono un’ideologia islamista ma repubblicana, antimonarchica, perciò ora anche i Sauditi l’hanno messa fuori legge. Altrettanto è successo con tutti i movimenti che i Sauditi hanno finanziato attraverso i decenni per indebolire i rivali negli stati adiacenti, mettendoli fuori legge quando diventano troppo potenti e pericolosi − ad esempio al Qaeda.

Nel 1963 un colpo di stato portò al potere in Siria il partito Baath, nazionalista e socialista, orientato a favore dell’Unione Sovietica, come l’Egitto. Riprese il dialogo fra Iraq, Egitto e Siria, che avevano tutti e tre governi socialisti e filo-sovietici, per organizzare in comune la vendita e la distribuzione del petrolio iracheno con oleodotti che avrebbero attraversato la Siria. Ma l’Iraq tentennava. Esasperato dal protrarsi delle trattative e avendo capito che il progetto panarabo non era realizzabile, il nuovo presidente egiziano Sadat verso la metà degli anni ’70 si avvicinò agli stati Uniti, abbandonò l’ideologia socialista, fece pace con Israele.

Dal 1947 al 1982 fu in funzione l’oleodotto Transarabian (vedi mappa a fianco), costruito dai Sauditi e dagli Americani, che fino a metà degli anni ‘70 fu l’oleodotto con la maggiore portata al mondo. Portava il petrolio saudita al Mediterraneo, nel sud del Libano, passando attraverso la Giordania e le alture del Golan al confine fra Siria e Israele. Dal 1982 l’oleodotto Transarabian venne abbandonato –  e pochi anni dopo finì anche la guerra civile in Libano, che durava dal 1958. Cessò la presenza di Israele nel sud del Libano, calò l’interesse della Siria per la parte del Golan in mano a Israele.  

Israele aveva e ha un suo oleodotto che attraversa il paese dal porto Ashekelon sul Mediterraneo al porto di Eilat sul Mar Rosso (mappa a fianco). L’oleodotto fu costruito come joint venture fra Israele e l’Iran all’epoca dello Scià, perché i due paesi avevano interesse comune ad avere una via di transito indipendente dagli Arabi e dall’Egitto. Fino al 1979 l’oleodotto israeliano portò il petrolio iraniano al Mar Mediterraneo.  

La rivoluzione degli Ayatollah del 1979 portò alla nazionalizzazione di tutte le risorse e all’espulsione di tutti gli occidentali. Saddam Hussein, divenuto dittatore dell’Iraq nello stesso anno, pensò che un Iran indebolito dalla guerra civile e dall’assenza di sostegno militare internazionale avrebbe ceduto facilmente, perciò invase la regione irachena del Khuzestan, ricchissima di giacimenti, che controlla anche i trasporti fluviali dello Shatt el Arab e quindi l’accesso al Golfo . Ma gli Iraniani reagirono e combatterono duramente. La guerra, sanguinosissima, durò fino al 1988 e si concluse senza vincitori né vinti.

Con la fine della Guerra Fredda nel 1989 i regimi siriano e iracheno cambiarono ideologia: caduto il socialismo e visto il successo della rivoluzione islamista in Iran e il perdurare della monarchia saudita, si rivolsero all’islamismo introducendo – soprattutto in Iraq − leggi ispirate alla sharia.  Nel 2000 la situazione del mondo arabo era matura per l’attacco alle Torri Gemelle da parte degli islamisti, che portò alla reazione americana e alle evoluzioni degli ultimi anni. 

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