La frammentazione dell’Iraq e della Siria

28/09/2015

Autorevoli think-tank americani sostengono che per stabilizzare il Medio Oriente occorre accettare e controllare la frantumazione dell’Iraq e della Siria in più stati. È il segno che la strada a negoziati internazionali per una risistemazione complessiva del Medio Oriente è aperta. Fino a qualche settimana fa soltanto qualche analista isolato e indipendente osava sostenere tesi così ‘blasfeme’.

L’esercito iracheno è collassato, nonostante 25 miliardi di dollari di assistenza da parte degli US’ scrive su Foreign Affairs del 20 settembre Ali Khedery. ‘Le milizie sciite fedeli al leader supremo iraniano la fanno da padroni nel governo iracheno, l’ISIS domina un terzo del territorio iracheno e metà di quello siriano. Il successore di Obama avrà sicuramente il dubbio onore di essere il quinto consecutivo presidente americano a bombardare l’Iraq’. La conclusione è che occorre accettare la realtà e lasciare che le varie parti di Siria e Iraq scelgano di separarsi, per evitare anni e anni di ulteriore violenze.

Gli Americani commisero un enorme errore nel disfare l’esercito e l’amministrazione, cacciando tutti coloro che avevano servito Saddam. Il paese rimase senza classe dirigente, e con decine di migliaia di famiglie offese e desiderose di vendetta.

Sotto l’Impero Ottomano l’Iraq era diviso in tre diversi vilayat (mappa a lato), con tre diversi governatori: uno a Mosul, uno a Bagdad e uno a Bassora. 

I confini attuali vennero creati a tavolino dal Trattato di Sèvres, per ricavare diverse aree di influenza per la Francia e l’Inghilterra (ne era prevista una anche per l’Italia, in territorio turco, come si vede nella mappa a lato).

Il primo re del nuovo stato chiamato Iraq fu nel 1921 Faisal bin al-Hussein, che allora ebbe a dire: ‘Con il cuore pieno di tristezza debbo riconoscere che non esistono Iracheni in Iraq. Ci sono gruppi diversi, privi di sentimento nazionale. Sono gruppi colmi di tradizioni religiose false e superstiziose, ma senza base comune. Credono alle dicerie e sono proni al caos, pronti a ribellarsi contro chiunque sia al potere’. Nel 1958 il nipote Faisal II fu assassinato con tutta la famiglia durante un golpe. Per dieci anni il paese cadde nel totale disordine, finché nel 1968 fu formato un governo controllato dal partito socialista e panarabo Baath − di cui l’egiziano Nasser fu il massimo propugnatore − e nel 1979 il baatista Saddam Hussein assunse i pieni poteri. Negli stessi anni ’60 anche in Siria prendeva il potere il partito Baath e Hafez al Assad, padre dell’attuale presidente siriano, ne diventava dittatore.

In Iraq Saddam fece strage dei ribelli curdi e di quelli sciiti, fece guerra per dieci anni all’Iran, all’inizio del 2001 decise di invadere il Kuwait, dopo una ‘guerra fredda’ sui prezzi del petrolio, attirando l’intervento americano nel Golfo. La sua caduta parve una liberazione, ma per ben poco tempo. Gli Americani commisero un enorme errore nel disfare l’esercito e l’amministrazione, cacciando tutti coloro che avevano servito Saddam. Il paese rimase senza classe dirigente, e con decine di migliaia di famiglie offese e desiderose di vendetta.

I Curdi approfittarono della nuova situazione per ottenere l’autonomia della loro regione, mentre gli sciiti al sud ottennero l’egemonia sul governo di Bagdad, grazie al sostengo dell’Iran. Il vero detentore del potere a Bagdad divenne il grande Ayatollah Ali al-Sistani, pur non avendo nessun ruolo politico ufficiale. I sunniti, esautorati umiliati e impoveriti, presero a ribellarsi e ricorsero al terrorismo, stringendo un patto del diavolo anche con al-Qaeda. La situazione peggiorò sotto il governo al Maliki, corrotto, inefficiente e fazioso, che riuscì a inimicarsi sia gli sciiti laici che i sunniti, sia gli Islamisti che i Curdi. Il senso di identità irachena, già debole, si perse del tutto, si rafforzò il senso di appartenenza alla tribù o al clan, soprattutto alla setta religiosa.

Il nuovo primo ministro al-Abadi è migliore di Maliki, ma il paese ormai è in frantumi, occupato da milizie settarie. Il governo di Bagdad non ha più un esercito: Bagdad non è stata conquistata dall’ISIS perché è difesa dalle Guardie della Rivoluzione mandate dall’Iran. Il crollo del prezzo del petrolio ha lasciato Bagdad con entrate insufficienti per gestire l’amministrazione. Le attività economiche sono ferme. Spesso a Bagdad manca l’elettricità, anche per intere giornate. Lo scorso luglio ci fu una rivolta violenta di alcuni quartieri di Bagdad: la folla saccheggiò gli uffici pubblici e i negozi. Abadi propose riforme, che però furono bloccate in parlamento dalla fazione di Maliki.  

Anche gli sciiti sono ora divisi in gruppi rivali: i seguaci di Sistani, della scuola religiosa di Najaf, accusano i seguaci degli Ayatollah iraniani della scuola di Qom di lasciar compiere assassinii e sequestri di persona da parte del loro braccio armato, i Kataib Hezbollah. L’Iran, sostengono molti, sta diventando un impero con sede a Bagdad.

Nel frattempo il livello di corruzione di violenza è talmente cresciuto che uscire di casa è rischioso; difficilmente ci si salva se capita di aver a che fare con qualche milizia armata, né si salva il portafoglio se si ha a che fare con dipendenti pubblici.

In quanto alla Siria, la situazione è ancora più drammatica e più violenta, la frammentazione settaria ancora più accentuata. Khedery propone di favorire la suddivisione di Siria e Iraq in regioni confederate ciascuna delle quali godrebbe di ampia autonomia. La divisione e la creazione di governi autonomi dovrebbe avvenire sotto la supervisione e il controllo dell’ONU, che potrebbe fornire anche forze internazionali di interposizione e di peacekeeping.

L’argomento è ora sul tavolo perché media, politici e diplomatici ne discutano. E forse qualcosa di positivo potrebbe finalmente accadere in Medio Oriente. 

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