Barbe e Califfi

10/09/2015

Lo scorso anno lo Stato Islamico ha catturato l’attenzione del mondo intero con una serie di video prodotti con sapienza hollywoodiana, che mostrano terrificanti esecuzioni e sangue versato in forme rituali barbariche. Gli equilibri geopolitici internazionali non ne sono ancora intaccati, ma l’opinione pubblica è spaventata e vorrebbe che i politici affrontassero l’ISIS e risolvessero il ‘problema’. Ma la battaglia dovrebbe essere prima di tutto psicologica e ideologica per produrre risultati. Una guerra militare non darebbe risultati duraturi, come abbiamo imparato dalle recenti guerre in Afghanistan e in Iraq.  

La battaglia ideologica e psicologica dell’ISIS si svolge sui social media, e l’Occidente sta cercando di contrastarla. Alcuni provvedimenti sono già in atto: è già più difficile accedere ai siti di propaganda islamista tramite i grandi motori di ricerca. Schiere di blogger anti-islamisti sono quotidianamente all’opera per contrastare la propaganda islamista online.

I servizi di intelligence studiano con gli antropologi i sistemi più efficaci per alimentare l’antipatia per gli islamisti fra i giovani appartenenti a diversi gruppi culturali.  Sia le operazioni degli islamisti, sia quelle degli anti-islamisti usano soprattutto video clips, accompagnati da audio. La propaganda e l’anti-propaganda sono ormai prodotti applicati della semiotica, disseminati via internet.

La semiotica studia l’uso dei segni e dei simboli nella comunicazione. Ogni cultura assegna connotazioni particolari a certi segni e simboli. Chi è immerso in quella cultura risponderà a quei segni e simboli con un’emozione specifica immediata, per lo più inconscia. I vignettisti bravi ed efficaci sanno utilizzare bene la semiotica della specifica cultura in cui agiscono (non a caso sono stati uccisi i vignettisti di Charlie Hebdo). I bravi registi sono maestri dell’uso dei segni e dei simboli. L’ISIS anche. Sulla base di un’ideologia rozza e semplicistica ha saputo costruire un insieme di segni e di simboli potenti, che usa come armi per affascinare i giovani islamici e terrorizzare i nemici.  La coalizione che si è formata sul terreno per combattere l’ISIS non può invece utilizzare la forza dei simboli, perché è composta di culture diverse.

Un segno utilizzato da tutti i gruppi ribelli, terroristici o irregolari è la barba. Ogni gruppo ribelle o terrorista nella storia ha utilizzato un taglio di barba specifico. Perché è così importante la barba? Nei branchi di mammiferi i maschi alfa sono caratterizzati da criniere e barbe particolarmente ricche e fluenti. Da questa osservazione nasce probabilmente il millenario utilizzo della barba come simbolo di potenza e di autorità da parte di tutte le culture umane fino all’epoca di Alessandro il Grande, che per primo fece sbarbare i suoi uomini. In epoca egizia le regine indossavano barbe finte per l’esercizio delle proprie funzioni. Una grande barba tende a incutere timore reverenziale in molte persone anche oggi, perché evoca senso di autorità e di potenza.

Ma dall’epoca di Roma in poi in occidente la barba evoca anche ‘barbarie’, inciviltà, rozzezza violenta, mentre menti rasati e capelli corti simboleggiano ordine, disciplina, autocontrollo, efficienza. Le due connotazioni da allora coesistono e si intrecciano nella storia. Nel II secolo gli intellettuali romani ellenizzati tornarono ad adottare la barba dei filosofi greci. La chiesa di Roma continuò la tradizione romana dei volti rasati, ma la chiesa cristiana d’Oriente usò sempre le lunghe barbe della tradizione greca. I nazisti non tolleravano la barba e rasavano a forza gli Ebrei ortodossi in Polonia. I Sikh indiani contengono la lunghezza delle barbe ma non tagliano mai i capelli, simbolo di potenza.

Oggi dobbiamo considerare importante per contrastare l’islamismo anche il diverso possibile effetto in diverse culture del mondo di telegiornali in cui appaiono faccia a faccia un Vladimir Putin dalla faccia rasata che tratta con sollecitudine un barbuto patriarca ortodosso, o un barbuto Hassan Rouhani che parla a un gruppo di economisti sbarbati (ma non ‘sbarbatelli’) al World Economic Forum. Se non lo facciamo, rischiamo davvero di lasciarci tirar qua e là per la barba. 

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