Nazionalismi, settarismi
e autobus

21/07/2015

LangFang, un tempo villaggio agricolo fra Pechino e Tianjin, è diventata periferia di Pechino, abitata da oltre un milione di persone, di cui circa un terzo va ogni giorno a lavorare a Pechino. Ma i sistemi di trasporto non bastano: già prima dell’alba migliaia di persone formano code che aspettano gli autobus. Le strade esistenti sono talmente intasate che per percorrere i circa 35 chilometri per Pechino occorrono più di tre ore. 

Aumentare il numero degli autobus non risolverebbe il problema, perché aumenterebbe l’intasamento e la durata del percorso. Il governo ha già approvato il progetto per costituire un’unica megalopoli con trasporti ferroviari e stradali integrati, dotata di treni e metropolitane superveloci, che ingloberà Pechino, Tianjing, Baodi e tutte le altre città minori comprese in questo triangolo, si chiamerà Jing-Jin-Ji e avrà circa 130 milioni di abitanti, più del doppio della popolazione italiana. Ma per ora i pendolari di Lang Fang sono costretti a prendere l’autobus e starci accalcati per tre ore due volte al giorno. Si è osservato che il comportamento delle persone in fila per l’autobus pubblico e per gli autobus aziendali è molto diverso. Anche se deve aspettare ore, chi aspetta il suo turno per l’autobus aziendale è piuttosto tranquillo: sa che è interesse e compito collettivo dell’azienda, degli autisti e dei compagni di viaggio far arrivare tutti al lavoro entro il minor tempo possibile. Invece nelle code per gli autobus pubblici i litigi sono costanti, le risse con botte sono frequenti. Tutti hanno i nervi a fior di pelle e sono pronti ad aggredire chi tenta di saltare una parte della fila, chi disturba, chi spinge. Ognuno ogni giorno si carica di tensione perchè teme di essere scavalcato dagli altri, di far sempre tardi al lavoro, di essere licenziato. Ma chi ha genitori in pensione è fortunato: padre o madre si mettono in coda alle tre o alle quattro di mattina, aspettano l’arrivo del figlio, vedono che riesca a prendere l’autobus al posto loro e poi se ne vanno a casa a riposare. I genitori in pensione sono diventati una risorsa preziosa, i figli li vogliono vicini, li trattano con rispetto. L’insufficienza del trasporto pubblico rafforza l’importanza della solidarietà familiare e alimenta l’aggressività verso i concittadini in competizione alla coda per l’autobus. È un esempio da tenere a mente per capire che cosa sta accadendo in varie parti del mondo, su scala molto maggiore.

La struttura e l’ideologia dello stato nazionale, forgiata dalle necessità ed opportunità del sistema industriale di massa (si veda Il nazionalismo e la società industriale nell’Europa moderna), scricchiola in modo più o meno evidente in tutto il mondo, sotto la doppia pressione della globalizzazione delle conoscenze e delle opportunità di mercato, che induce a superare i limiti della nazione e dello stato, e la costrizione delle scarse risorse locali, che aumenta la competizione sul territorio e induce a raggrupparsi in clan familiari o religiosi per contendere le risorse ai concittadini. Là dove le istituzioni pubbliche non sanno dimostrare che le risorse, seppur scarse, sono gestite in modo che tutti ne potranno usufruire, le persone si rendono conto che potrebbero rimanere a terra a tempo indefinito, diventano più aggressive e tendono a raggrupparsi in fazioni pronte a combattersi.

Le prime popolazioni a ribellarsi e a cadere nella guerra civile sono state quelle degli stati ‘artificiali’ − cioè privi di una precedente storia nazionale unitaria che abbia forgiato un senso di comune appartenenza − nati dal crollo degli imperi: gli stati arabi nati dal crollo dell’Impero Ottomano in Medio Oriente, gli stati africani nati dal crollo degli imperi coloniali europei, gli stati dei Balcani, del Caucaso − (e ora l’Ucraina) nati del crollo dell’impero sovietico. Quando telefoni cellulari, computer e televisori portano ovunque la conoscenza di realtà colme di agi e di prospettive, non c’è né ideologia né repressione che possa indurre le persone ad accettare con rassegnazione una vita di miseria senza speranza e senza dignità. Si hanno ribellioni, guerre civili, esodi di massa.

Ma ribellioni e guerre si hanno anche là dove c’è la percezione che le risorse possano venir negate a qualcuno, mentre altri ne hanno in eccedenza. Non serve chiedersi se chi è in svantaggio sconta l’errore di scelte passate oppure no: il compito dei governi e delle istituzioni è gestire il presente per migliorare il futuro, e alimentare la ragionevole fiducia che nessuno verrà lasciato a terra: sull’autobus verso un futuro migliore saliranno tutti. Che cosa farà l’Europa per dire ai Greci che ci sarà sicuramente un autobus anche per loro? 

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