La sindrome
del ’vero credente’

06/02/2015

In una più ampia riflessione sull’estremismo (se ne può leggere un sunto qui), Luc Keyser fornisce un’interessante lettura in chiave psicologica dell’ISIS. Il medico e studioso belga riscontra nei jihadisti tratti propri della patologia nota come sindrome del “vero credente”, frequente fra i seguaci di ideologie politiche che si presentano come fedi e usano il linguaggio e la ritualità delle grandi fedi.  Si veda ad esempio il video Religioni politiche e psicologia delle folle nelle dittature politiche del XX secolo’.

Keyser propone una ridefinizione della sindrome, utile a comprendere l’atteggiamento dei miliziani dell’ISIS e in particolar modo dei giovani che si convertono alla causa jihadista, unendosi al jihad in Paesi lontani coi quali non hanno alcun legame.

Anche se in principio pare azzardato accostare fondamentalismo islamico e una patologia che riguarda principalmente chi crede a eventi paranormali o soprannaturali ampiamente confutati, Keyser mostra quanto i due siano caratterizzati da tendenze comuni:

-          Il “vero credente” non lascia che la realtà sia d’intralcio a ciò in cui crede; invece di guardare a quello che accade intorno a lui nella vita quotidiana, tende a credere di esser stato testimone di un evento improbabile, miracoloso. L’esempio classico è quello delle storie di rapimenti da parte degli alieni. Keyser le mette in parallelo con quelle raccontate da alcuni convertiti entrati a far parte dell’ISIS, molto simili alla folgorazione di San Paolo sulla via di Damasco, alla sua caduta da cavallo e alla successiva visione di Dio.

-          La tendenza a percepire gli eventi come un tutto unico governato da proprie leggi organiche, piuttosto che come somma o insieme di singoli elementi distinti, che possono articolarsi in modo diverso. Sembra teorico, astratto e distante dall’attualità, ma basta pensare al fatto che la maggior parte degli occidentali convertiti all’islam non ha avuto un’educazione religiosa e ignora molti dei pilastri della religione islamica. Hanno una percezione dell’islam come un tutto inscindibile e organico di simboli e riti e comportamenti, piuttosto che come un insieme articolato di singoli principi.

-          La dissonanza cognitiva, ovvero il malessere che si prova quando in relazione a un tema si hanno  idee, credenze, opinioni in conflitto tra loro. Questa sorta di incoerenza genera stress mentale, che si cerca di eliminare o ridurre attraverso meccanismi elaborativi. Un esempio è proprio quello dei giovani reclutati dall’ISIS, che compiono la scelta di accogliere solo l’idea alla quale si sono votati, respingendo qualsiasi dato di fatto in grado di mettere in discussione la loro decisione di combattere il jihad.

-          Le scorciatoie mentali proprie della cosiddetta ‘euristica della disponibilità’, ovvero la valutazione degli eventi sulla base della vividezza e dell'impatto emotivo dei ricordi. Quando si prende una decisione, ci si baserà principalmente sulla prima informazione che viene in mente; ciò implica che gli eventi più recenti, il cui ricordo è più vivido e dettagliato, o le informazioni che abbiamo ricevuto con maggiore frequenza hanno un’influenza eccessiva sul processo decisionale. Più di ogni altra immagine, in questo periodo influiranno sul giovane jihadista le immagini di territori conquistati, di bandiere nere issate e di nemici in ginocchio in attesa di essere giustiziati. Saranno questi gli scenari che si prospetteranno loro, placando ogni dubbio sull’esito del loro sforzo.

 

Come contrastare queste tendenze mentali che favoriscono la radicalizzazione?

Dopo gli atti terroristici del mese scorso in Francia e in Belgio ci si è affrettati ad adottare misure antiterroristiche che andassero anche in tal senso. Sono state per esempio istituite unità d’emergenza composte da professori e psicologi per intervenire immediatamente nel caso in cui uno studente dia segno di comportamenti estremisti a scuola. Rafforzare la presenza di polizia e militari per le strade non aiuta a far ragionare e ravvedere i simpatizzanti dell’ISIS. È più efficace intervenire sulle radici della sindrome del “vero credente” di cui soffrono i giovani reclutati dall’ISIS. Interventi sociali ed educativi di questo genere non sono semplici: ragione in più per studiare molto bene la condizione di coloro che si convertono alla causa del jihadismo e il loro livello di dissociazione dalla realtà, e per identificare e promuovere modelli positivi all’interno della comunità musulmana.

Le tendenze proprie della sindrome del “vero credente” sono insite in ogni essere umano. Keyser sostiene polemicamente che anche molti politici che l’ISIS vogliono combatterlo hanno difficoltà a distinguere i fatti dalla finzione; promuovono grandi idee ignorando dettagli che possono determinarne il successo o il fallimento; respingono informazioni in contrasto con le loro credenze e reagiscono istintivamente, in base ai primi e più intensi ricordi. Distinguere i comportamenti ‘normali’ da quelli di un “vero credente” è soltanto una questione di proporzioni.

 

P.S. di LCdF:  E se la scuola tornasse a dare priorità all’esercizio costante di analisi e di sintesi, fin dall’infanzia?

 

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