Corruzione
perché?

09/12/2014

Gli Italiani non sono antropologicamente più inclini alla corruzione di altri popoli. Diffidate di chi lo sostiene: è un modo di eludere la ricerca delle cause, dunque l’impegno a rimediare. 

Negli anni ’70 si diffuse in Italia (e non solo) la convinzione che la spesa pubblica fosse sempre produttrice di ricchezza, indipendentemente dagli obbiettivi e dai destinatari, e che la spesa a debito finisse col ripagarsi sempre da sola, grazie all’aumento che avrebbe determinato nel PIL. Si trattava di una interpretazione casereccia e stravolta delle teorie keynesiane, ma ebbe una larga fortuna: se il denaro crea sempre ricchezza, anche quando è preso a debito, anche se è speso male, perché negarlo a qualcuno? Era tempo di contestazioni, di scioperi, di terrorismo. La pioggia di sussidi, pensioni, stipendi pubblici avrebbe portato la pace sociale e aumentato la ricchezza di tutti senza costare nulla a nessuno. Così l’Italia divenne rapidamente il paese di Bengodi: per ‘sistemare’ i clienti si moltiplicarono le burocrazie e gli enti, si distribuirono sussidi e pensioni. Qualunque casalinga quarantenne con bruciori di stomaco riusciva, volendo, a ottenere una pensione di invalidità per i successivi 40 anni: bastava trovare un medico accondiscendente.

Visto che questa pioggia di denaro sembrava non costare nulla a nessuno, perché negarne a qualcuno? Perché non fare favori ad amici, conoscenti, parenti? Perché non sistemarsi bene? La politica e l’amministrazione pubblica divennero l’arte di elargire ai clientes e di sapersi creare reti di ‘amici’ in tutti i settori pubblici, in modo da trarne il massimo sostegno per la successiva carriera. La situazione, come sempre, produsse spontaneamente la selezione del più adatto: si formò una classe di politici e amministratori che per carattere e per mentalità erano bravi a creare complicità, connivenze, alleanze redditizie, distribuendo prebende e benefici, appalti e consulenze, posti di lavoro e pensioni.

Ora la chiamiamo corruzione, la chiamiamo mafia, ma gli Italiani ne hanno beneficiato in massa. Hanno anche smesso di impegnarsi davvero a fondo nel lavoro: se i soldi si trovano senza fatica, perché faticare? Perché rischiare per fare impresa, perché dannarsi per fare ricerca, per cercare nuove soluzioni tecniche? Ora abbiamo ‘scoperto’ che i debiti prima o poi si pagano, che il denaro non è ricchezza, ma soltanto uno degli strumenti di produzione e di misurazione della ricchezza: se la produzione si ferma, il denaro è carta straccia. L’hanno sempre saputo anche i bambini, eppure per decenni è sembrato che la politica avesse trovato una bacchetta magica nella finanza. In realtà già negli anni ’80 si arrancava e per mantenere il flusso di denaro nel sistema si aumentavano le tasse, o quella forma particolarmente odiosa di tassa che sono i contributi a fronte di servizi pubblici. Questi contributi non compaiono formalmente sotto la voce ‘tasse’ e inquinano il calcolo del PIL. La spesa per l’assistenza sanitaria, ad esempio, entra nel calcolo del PIL. Se per lo stesso tipo di assistenza la regione A paga un milione di euro e la regione B ne paga 2, perché ha enormi sprechi e grande corruzione, nella contabilità pubblica risulta che la Regione B ha aggiunto 2 milioni di euro al PIL, la regione A soltanto uno. Idem per i costi della raccolta rifiuti o dei servizi forestali, per tutti i servizi erogati da aziende municipali e regionali. O da organizzazioni assistenziali private, formalmente non a scopo di lucro, che non debbono rendere pubblici i bilanci neppure se vengono sovvenzionate con denaro pubblico per fornire servizi. 

"Cooperazione e sviluppo" è un’altra delle formule magiche con cui si fanno sparire i soldi dai bilanci pubblici per scopi apparentemente nobili. Se la cooperazione e lo sviluppo sono per l’estero, neppure i giudici possono controllare dove vanno a finire i nostri soldi, perché non hanno giurisdizione all’estero. Comuni e Regioni hanno spesso in bilancio costi per la cooperazione e lo sviluppo internazionale, illegali perché sentenze della Corte Costituzionale hanno ripetutamente affermato che la politica estera, inclusa la cooperazione internazionale, è riservata esclusivamente allo stato. Perciò negli ultimi anni succede che lo stato assegni alle Regioni un budget (con le nostre tasse) da spendere per iniziative di cooperazione all’estero. Così anche i politici locali possono spendere un po’ del portafoglio del Ministero: ci tengono… Che anime sensibili!

Ora però c’è una buona notizia: i soldi sono finiti, siamo pieni di debiti, dunque la politica deve cambiare. Ci sono già segni di una nuova stagione: i nuovi politici giovani a volte profumano di primavera. Se son rose, fioriranno.

C’è anche una cattiva notizia: i soldi sono finiti, siamo pieni di debiti, non sappiamo come andare avanti. Che ci tocchi tornare a intraprendere, a faticare, a premiare il merito? Sappiamo ancora come si fa? Certamente non sarà possibile farlo finché il peso della spesa pubblica continuerà a soffocare il lavoro.

Il lavoro In Italia è gravato da oltre il 65% di tasse e contributi obbligatori, statali o regionali: le più alte in tutto il mondo occidentale. Questo è il problema da affrontare. Tutto il resto è conseguenza. Su questo problema occorre lavorare per trovare soluzioni: il resto è fuffa.

 

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