Sarà conciliazione
a Mindanao?

17/09/2014

Il 10 settembre il presidente filippino Benigno Aquino III ha sottoposto al congresso una legge – la Bangsmoro Basic Law – che concede una vasta autonomia alla parte meridionale di Mindanao, dopo decenni di scontri fra il governo e i ribelli islamici Moro. Acquino vorrebbe far approvare la legge entro i primi mesi del 2015 per indire un referendum regionale e portare a casa il risultato entro la fine del suo mandato nel 2016.

Per neutralizzare la ribellione la legge prevede la concessione della maggior parte degli utili derivanti dallo sfruttamento delle risorse locali, l’introduzione di un parlamento indipendente, la nascita di una nuova forza di polizia locale e di un ordinamento giudiziario indipendente.

Il successo è tutt’altro che scontato, anche perchè sono numerosi i dubbi sulla costituzionalità della Legge. Inoltre non è detto che serva a risolvere i problemi: i Moro sono solo uno dei tanti gruppi che si battono contro il governo centrale di Manila, non hanno il controllo dell’interno territorio e die tutti i gruppi armati. Il processo di pace finora è proseguito molto lentamente, ma il governo spera di accelerarne il passo con l’accordo con il Fronte di Liberazione Islamico Moro, oggi il più forte ed autorevole, perciò forse l’unico capace di far accettare agli altri la pacificazione.

Il Fronte di Liberazione Islamico Moro nel 2003 ha abbandonato le richieste di indipendenza, dopo decenni di guerriglia: peraltro la sua classe dirigente sta invecchiando, le sua capacità militari stanno declinando e il gruppo non ha convenienza a perdere questa occasione.

Per garantire una pace duratura occorrono grandi investimenti per lo sviluppo della regione, che ha un alto potenziale ma è rimasta in condizioni di arretratezza per via dell’insicurezza cronica. Mindanao (si veda la tabella a fianco) ha un PIL pro capite pari al 40% della media nazionale e un tasso di disoccupazione vicino al 48% (dati 2012). La regione soffre di continui black-out, rapimenti, atti di terrorismo ed estorsioni da parte di bande criminali che scoraggiano gli investimenti esteri. Alla fine degli anni ‘90 la Philippine National Oil Co. e la Petronas – azienda petrolifera malese – hanno rinunciato a un progetto per lo sviluppo dei giacimenti di gas e petrolio per le minacce del Fronte di Liberazione Islamico Moro e di altri signori della guerra locali. Ancora il 24 agosto scorso i combattenti del New People’s Army, altro gruppo ribelle, hanno preso d’assalto due piantagioni della Del Monte.

Possono essere tanti i vantaggi della pace. La regione ospita il 70% delle risorse minerarie del paese – oro, rame, nickel, manganese, piombo, zinco e ferro - per un valore di circa $300 miliardi, senza contare i giacimenti di petrolio e gas e i potenziali introiti dell’industria del turismo. Lo sfruttamento delle risorse è comunque un’arma a doppio taglio: da un lato può servire a spingere i gruppi ribelli a cooperare, dall’altra può alimentare rivalità fra clan rivali.

Per il governo filippino la pacificazione a Mindanao è diventata ormai un imperativo. Ora che le tensioni nel Mar Cinese Meridionale stanno crescendo, Manila deve risolvere i problemi interni e concentrarsi sulle difficoltà esterne. Lo scontro con i ribelli spreca risorse economiche e militari, e le Filippine hanno invece bisogno di concentrarsi sullo sviluppo del paese e sui pericoli che potrebbero provenire dal mare. 

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