Il declino della produzione petrolifera venezuelana potrebbe avere ripercussioni negative in America centrale e nei Caraibi. Attualmente Caracas fornisce petrolio a condizioni privilegiate a quindici paesi del Centro e del Sud America in base al trattato del Petrocaribe.
La maggior parte di questi paesi dipende fortemente dal petrolio venezuelano – il Nicaragua ne dipende per il 23% delle necessità, la Giamaica per il 32%, la Repubblica Dominicana e Haiti per il 90%!
I paesi che partecipano a Petrocaribe, programma avviato nel 2005 dall’ex presidente Hugo Chavez allo scopo di forgiare nuove alleanze politiche nella regione, pagano il 40% delle forniture in contanti, il restante 60% in 25 anni con l’interesse del 2% annuo. Il Venezuela spesso accetta anche cibo, servizi e merci in cambio del petrolio. Ci sono poi i 99 mila barili di petrolio forniti ogni anno a Cuba – paese fondamentale per la sicurezza venezuelana – a prezzi molto inferiori a quelli di mercato.
Ora la condizione delle finanze pubbliche del Venezuela pone seri dubbi sulla sostenibilità del programma.
L’azienda Petroleos de Venezuela, tramite la quale il governo socialista venezuelano vuole finanziare livelli insostenibili di spesa sociale, ha accumulato tanti debiti da dover chiedere un prestito alla banca centrale, nonostante la riduzione dei costi – scesi da $30 miliardi nel 2011 a $13 miliardi nel 2013, soprattutto rinunciando ad ammodernare e fare manutenzione sugli impianti. Nel 2013 Petroleos de Venezuela ha generato utili per $15,8 miliardi sulla carta ma, dato che i pagamenti da Cuba e dai paesi del Petrocaribe avvengono a rate o attraverso baratto, ha dovuto chiedere $12 miliardi alla Banca Centrale del Venezuela per poter continuare a funzionare.
Per ora il governo ha evitato di varare riforme più incisive, per non far ancora calare la scarsa popolarità del presidente Nicolas Maduro, perché l’inflazione è rampante e il cibo scarseggia, ma i nodi stanno venendo al pettine e probabilmente porteranno alla revisione del Petrocaribe.
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