Gli interessi in gioco in Iraq
da un articolo di Reva Bhalla per Strategic Forecasting

20/06/2014

Per decifrare gli attuali eventi in Iraq possiamo fare riferimento alle immagini diffuse dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) con il titolo sensazionale di “La distruzione di Sykes-Pycott”, che denota il chiaro intento di mettere fine a un secolo di storia in Medio Oriente

In queste immagini accompagnate da un canto jihadista (vedi qui) si vede la pala di un bulldozer che apre un varco in un banco di terra al confine settentrionale con la Siria. I ribelli, avvolti nella kefia e prosciugati dal sole, si affollano ai lati della barriera per osservare il risultato delle loro azioni. La breccia è abbastanza grande da permettere il passaggio dei fuoristrada militari americani donati all’esercito iracheno e sottratti successivamente dai jihadisti.

A Mosul è stata diffusa una carta con un’antica interpretazione della Sharia, che nei tweet jihadisti è diventato popolare con il tag #SykesPicotOver. L’accordo segreto firmato fra l’inglese Sir Mark Sykes e il francese Francois George-Picot nel 1916 per la spartizione del Medio Oriente per i jihadisti è il simbolo dell’imperialismo occidentale e deve quindi essere cancellato.

Oggi i primi difensori di quei confini siedono a Baghdad, Damasco, Ankara, Teheran e Riyadh; Europei e Americani, dopo anni di guerra in questa parte del mondo, sono stanchi e non vedono l’ora di uscire dalla crisi. Tocca quindi ai paesi della regione intervenire per evitare la nascita di un mini-emirato nella regione, dove si intrecciano numerosi interessi. 

La Turchia in cerca di una strategia

Di fronte aal pericolo jihadista impellente sia in Siria che in Iraq, la Turchia cerca di mettersi al riparo promuovendo un’agenda strategica nel Kurdistan iracheno, che prevede l’alleanza con la leadership curda, contro gli interessi di Baghdad nella regione.

Con il pieno assenso del ministro dell’energia turco Yaner Yildiz, due petroliere cariche di barili di petrolio curdo sono salpate dal porto di Ceyhan alla ricerca di un compratore, destando l’ira del premier iracheno Nouri al-Maliki. E’ avvenuto proprio nei giorni in cui l’ISIL ha lanciato l’attacco. Inoltre Yildiz ha annunciato il 16 giugno che una terza petroliera era pronta a partire entro la fine della settimana. Al Maliki ha bisogno dell’aiuto dei Peshmerga curdi per contrastare l’ISIL a nord, perciò Turchi e Curdi possono permettersi di ignorare le rivendicazioni irachene sul petrolio del Kurdistan, in questo momento.

Ma l’appoggio turco al Kurdistan non è a tempo indeterminato.

Ankara vuole utilizzare i rapporti con il Governo Regionale del Kurdistan per sfruttare le risorse energetiche del paese e gestire meglio i rapporti con i Curdi all’interno dei propri confini. Ankara però non ha intenzione di sostenere la causa curda, anche perché - ora che i giacimenti di Kirkuk sono ben saldi in mano curda - le ambizioni indipendentiste dei Curdi prenderanno vigore ovunque. Anche i miliziani del PKK e dell’Unità di Protezione Popolare si sono schierati a fianco dei Peshmerga nell’Iraq settentrionale.

La Turchia, ancora preoccupata per gli 80 ostaggi nelle mani dell’ISIL, probabilmente aumenteranno la propria presenza in Mesopotamia, per necessità . Finora nel Kurdistan iracheno stazionavano fra i 1500 e i 2000 soldati turchi. Visto che i pericoli crescono, i Turchi hanno un motivo in più per mantenere una presenza in loco. La leadership curda non ha grande fiducia nei Turchi, ma non può prescindere da una collaborazione per difendere i propri interessi contro quelli degli altri attori regionali, fra cui l’Iran.

L’Iran sulla difensiva

Di fronte alla crescente assertività turca in Kurdistan e preoccupato della minaccia jihadista nella regione sunnita irachena, l’Iran ha incrementato la presenza militare al confine settentrionale con l’Iraq. Sebbene possa contare su una capillare e sofisticata rete di cellule amiche nella regione, non può servirsene più di tanto perché questa strategia presenta grandi rischi.

Negli ultimi anni l’Iran ha lavorato doviziosamente per rafforzare la componente sciita in Iraq grazie alla “nomina” di un governo amico a Baghdad (clicca qui per vedere la mappa della composizione etnica della regione). Che al governo ci fosse al Maliki o di chiunque altro, Teheran aveva interesse a mantenere una presenza abbastanza forte da manovrare gli Sciiti nella regione mantenendo unito il paese. L’utilizzo di milizie sciite ha consentito all’Iran di puntellare l’esercito iracheno in un momento di grande necessità, ma rischia di mandare all’aria tutto il piano precedente: più sono forti le milizie sul terreno, meno lo è il governo centrale di Baghdad e minori sono le possibilità che riesca a tenere a bada le spinte separatiste.

Fra l’altro i miliziani dei territori sunniti reagiranno al maggiore coinvolgimento iraniano con un certo livore. Per motivare i combattenti non c’è niente di meglio che convogliarli contro l’antico nemico persiano e i suoi alleati sciiti. Lo scoppio di faide sanguinose renderà ancora più difficile per il governo sciita trovare alleati fra la popolazione per combattere i jihadisti. Infatti l’ISIL non sarebbe riuscito a ottenere grandi vantaggi se non fosse stato per il rapporto privilegiato con le tribù sunnite, che ricevono grande sostegno economico dai paesi del Golfo. E qui l’attenzione si sposta su Riyadh.

L’Arabia Saudita in prima linea

L’ultimo anno è stato difficile per l’Arabia Saudita. Il riavvicinamento fra Iran e USA è un incubo per i Sauditi, specialmente ora che Washington si avvia sulla strada dell’indipendenza energetica. Riyadh non ha molti mezzi per sabotare i negoziati fra USA e Iran, dovrà ingoiare il rospo e aprire il dialogo alla Repubblica Islamica. Lo farà tentando comunque di rendere la vita difficile a Teheran: se costretti a negoziare, i Sauditi cercheranno di farlo secondo i propri termini. Siria e Libano sono un ottimo campo di battaglia per mettere alla prova gli alleati, ma è comunque molto difficile che i ribelli possano rovesciare il regime a Damasco, mentre il Libano è troppo diviso per essere determinante negli equilibri regionali. E quindi l’attenzione saudita è concentrata sulla Mesopotamia. L’Iran non può permettersi di perdere i vantaggi ottenuti in questi anni, mentre l’Arabia Saudita – governo e privati cittadini – mantengono tuttora legami molto forti con le tribù sunnite delle regioni dell’Anbar e di Mosul che hanno aiutato gli insorti jihadisti. Non corre buon sangue fra l’ISIL e l’Arabia Saudita, che ha inserito il gruppo nella lista delle organizzazioni terroristiche dopo aver scoperto una cellula che voleva rovesciare la monarchia. Ma l’ISIL non è il solo a partecipare all’offensiva. Anche gli ex baathisti del Naqshabandiyya Way, i Jaish al-Mujahideen e Jaish Ansar al-Sunnah svolgono un ruolo fondamentale nella lotta. E chi defeziona dal movimento Awakening, che aveva combattuto a fianco degli USA contro alQaeda, lavora a stretto contatto con gli insorti di Anbar (il Majlis Thuwar al Anbar), che collaborano a loro volta con l’ISIL. Pare che il capo dell’intelligence saudita Yousef bin Ali al Idrisis sia in contatto con il Majlis di Anbar, tramite il quale tenta di influenzare gli equilibri sul terreno in chiave anti-iraniana.

Benché la rivolta sia confinata alle aree della cintura sunnita e non vi siano per ora rischi per la produzione e l’esportazione del petrolio nella parte meridionale del paese, l’Arabia Saudita ha comunque beneficiato dell’instabilità regionale che ha fatto salire il prezzo del petrolio brent oltre €113 al barile per prima volta quest’anno. L’aumento del prezzo del petrolio non avvantaggia solo i Sauditi, anche la Russia è soddisfatta dal corso degli eventi.

Incontri misteriosi a Sochi

Il 3 giugno, ovvero pochi giorni prima dell’offensiva dell’ISIL in Iraq, il presidente russo Valdimir Putin ha incontrato a Sochi il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal alla presenza del ministro degli esteri russo Lavrov.

Non si hanno dettagli sull’incontro, a parte alcune voci secondo cui il tema era la ricerca di una soluzione condivisa per la Siria. Il 10 giugno l’agenzia di stampa saudita spiegava che Lavrov e al-Faisal avrebbero avuto una conversazione telefonica per discutere della questione siriana. L’argomento “Siria” potrebbe essere stato parte dei colloqui, soprattutto perché la Russia ha interesse a salvare la propria influenza su Damasco e mantenere al potere il presidente Bashar al Assad.

Ma secondo il nostro parere (parere di Stratfor) c’è qualche cosa in più. Arabia Saudita e Russia condividono due interessi: mandare all’aria i negoziati fra Iran e USA e fare in modo che il prezzo del petrolio rimanga a un livello abbastanza alto – sopra i $100 – per trarne il massimo beneficio. […] Non possono far molto per impedire un negoziato fra Iran e Stati Uniti, ma per tenere alto il prezzo del petrolio sì. Senza contare che la crisi in Medio Oriente avviene proprio negli stessi giorni in cui Washington vorrebbe mostrare al mondo di saper tener a bada la Russia, particolarmente alla sua periferia. USA e Turchia hanno idee diverse sulla gestione della crisi irachena, ma Washington ha bisogno della collaborazione turca per risolvere la crisi ucraina.

Finché la questione irachena terrà occupati gli USA distraendoli dalla questione ucraina, Putin ne potrà approfittare. E se ci fosse anche un minimo spiraglio per sabotare un accordo USA-Iran, per Riyadh vale comunque la pena rischiare.

Una lezione dalla storia

Sia che si tratti di pure coincidenze, di disegno strategico o di un misto delle due cose, dal teatro iracheno usciranno vincitori e perdenti. La Russia conosce bene il gioco. Gli USA, di fatto “eredi” degli accordi di Sykes-Picot, lo debbono capire in fretta. Quando Francia e Inghilterra si misero d’accordo in segreto per tracciare la nuova mappa post-ottomana nel 1916, la Russia zarista non oppose resistenza e lasciò fare. Ma appena un anno dopo, nel 1917, i Sovietici rivelarono al mondo i dettagli dell’accordo, piantando i semi dell’insurrezione araba, assicurandosi così che l’imperialismo occidentale in Medio Oriente non avrebbe avuto vita facile.

L’amministrazione americana sa che si rischia di cadere in trappola. Memore della storia della regione, Washington probabilmente lascerà la questione nelle mani degli attori regionali. 

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