L'enigma della crescita
di Luca Ricolfi

28/03/2014

Interessante, non banale e per certi versi provocatorio l’ultimo libro di Luca Ricolfi: L’enigma della crescita. L’analisi del sociologo torinese cerca di dare risposta a una domanda difficile: quali sono i fattori che favoriscono la crescita? Per rispondere Ricolfi ripercorre le teorie fondamentali sulla crescita e va oltre elaborando una equazione che spiega quali sono gli elementi che contribuiscono allo sviluppo economico. 

Il libro, come l’autore anticipa nelle prime pagine, ha il pregio di essere fruibile anche da chi non ha dimestichezza sull’argomento, ma contiene un’appendice corposa per chi vuole scavare più a fondo per capire meglio.

Per indagare sull’enigma della crescita Ricolfi parte dallo studio delle traiettorie di crescita dei paesi avanzati nel periodo precedente la crisi economica. Secondo l’autore infatti i paesi avanzati erano già in declino prima della crisi, che ha ulteriormente peggiorato il quadro. Infatti dall’analisi emerge che il ritmo di crescita dei paesi avanzati andò diminuendo dell’1% circa ogni decennio dagli anni ’50 ad oggi.

Ricolfi individua cinque fattori chiave nello sviluppo economico: capitale umano, investimenti esteri diretti, istituzioni economiche, tasse e livello di benessere, cioè il “reddito pro capite a parità di potere d’acquisto”. L’ultimo fattore è fondamentale, in quanto il benessere influisce negativamente sulla crescita, perché elimina gradualmente “le condizioni che hanno consentito alla crescita di dispiegarsi: un basso costo del lavoro, una scarsa regolamentazione dell’attività economica, una disponibilità al sacrificio dei lavoratori, sia dipendenti sia autonomi, un’età media relativamente bassa”. Questo significa che ‘’la crescita stessa […] progressivamente, erode le condizioni che l’hanno resa possibile”. 

L’analisi evidenzia come un paese ricco cresca a ritmi decisamente più lenti rispetto a un paese relativamente povero che, potendosi permettere di “copiare” i paesi avanzati, riesce a bruciare rapidamente le tappe.

Ricolfi ha uno sguardo critico verso le teorie della “decrescita felice” e verso chi parla di fallimento del mercato. Secondo l’Autore “non è vero che il mercato abbia fallito, o meglio non è vero per tutti”. A dimostrarlo bastano gli straordinari progressi che hanno permesso a miliardi di individui di uscire per la prima volta dalla trappola della povertà. Nonostante la “civiltà occidentale” sia in crisi, non lo sono invece i modelli e i valori che ne hanno promosso l’ascesa, che sono semplicemente migrati altrove – in Asia e negli altri paesi in via di sviluppo.

Interessante è l’analisi sociologica degli effetti del benessere sulla cultura delle società avanzate. Secondo Ricolfi le nuove generazioni, potendo contare sul patrimonio delle famiglie, hanno un atteggiamento nei confronti dello studio, del lavoro e del guadagno diversa da quella dei loro nonni – che era più simile a quello odierno dei paesi in via di sviluppo. Nei paesi avanzati il tempo di lavoro è sceso dal 35 al 20% delle ore di vita dal secondo dopoguerra in poi, sia per l’espansione dello stato sociale che permette alle persone di andare in pensione presto, sia perché le giovani generazioni possono permettersi il lusso di ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro.

Ma c’è di più: a fronte di una retorica buonista sull’immigrazione, secondo l’Autore alcune società avanzate rischiano di assumere i tratti neo-schiavisti delle “società signorili”, in quanto i posti di lavoro meno gratificanti, che esistono in tutte le società moderne e che assorbono dal 20 al 40% della forza lavoro, sono occupati da immigrati – gli unici disposti a farli.

“Il ceto medio si è abituato a standard di vita che saranno sempre più difficili da mantenere perché la produzione – quella vera, fatta di cose che si toccano – è migrata al di fuori dei suoi confini fisici e sociali”: fisici perché molti prodotti sono importati dai paesi in via di sviluppo, sociali perché la poca produzione autoctona è in gran parte delegata a manodopera straniera.

L’Autore non intende spingerci a gettare la spugna: esiste una cura per contrastare il rallentamento della crescita, ovvero dotarsi di buoni fondamentali. Le nostre prospettive future cambiano in proporzione alla qualità del capitale umano e delle istituzioni economiche, alla pressione fiscale e alla capacità di attrarre investimenti esteri diretti. A seconda delle ricette impiegate per migliorare i fondamentali, i tempi della ripresa possono essere più o meno lunghi. In base all’esperienza passata pare che un taglio consistente delle tasse sia lo strumento più rapido per favorire la ripresa, come conferma l’esperienza delle amministrazioni Reagan e Thatcher, che sono riuscite a invertire la rotta di declino dei loro paesi fra gli anni ’80 e gli anni ’90.

La conclusione è chiara: i paesi avanzati non sono davvero pronti alla “decrescita”, che può avere ripercussioni drammatiche sul sistema sociale. Senza crescita, il sistema sociale diventa un gioco a somma zero dove “non si può migliorare la propria condizione senza peggiorare quella di un altro” e dove l’iniziativa politica è finalizzata alla sola redistribuzione delle risorse, il che dà più arbitrio ai governanti nell’allocazione delle risorse, limitando ulteriormente la libertà degli individui. La crisi ha avuto il merito di rendere questo aspetto evidente. Ora non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di invertire la rotta. 

Recensione di Davide Meinero

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