Il futuro dell'Ucraina fra Russia e Occidente
e il ruolo della Polonia

25/03/2014

L’attuale conflitto fra Occidente e Russia sul futuro dell’Ucraina presenta diversi spunti di riflessione: da un lato occorre capire il peso della cultura e della storia nei rapporti fra la Russia e i paesi alla sua periferia; dall’altro le aspirazioni di Kiev ad integrarsi nell’Unione Europea ci obbligano a decidere che politica tenere verso l’Ucraina, e di conseguenza verso al Russia.

La Russia, l’Ucraina e la Crimea: l’uso della cultura come collante nazionale

L’intervento russo in Crimea è tutt’altro che casuale. La penisola sul Mar Nero è stata occupata attraverso la storia da Sciti, Greci, Goti, Mongoli, Genovesi, Turchi e Tatari. I Russi sono stati gli ultimi ad arrivare nel 1800, ma hanno lasciato un’impronta forte sulla regione. Ceduta alla Repubblica Sovietica dell’Ucraina nel 1954 per decisione di Krusciov, la Crimea non ha mai perso i tratti culturali ed etnici che la rendono legata alla Russia, e non è la prima volta che tenta la secessione dall’Ucraina dopo il 1989.

Priva di barriere naturali ai confini e abitata da numerose etnie, la Russia ha sempre cercato di forgiare e fondare l’identità nazionale russa su tre pilastri: religione, guerra e arte.

1.     Religione: la chiesa ortodossa è sempre stata il principale collante fra gli abitanti della Russia sin dal 988 d.C., quando Vladimiro il Grande, signore della Rus di Kiev, si convertì alla religione di Bisanzio facendosi battezzare proprio alla periferia di Sebastopoli, poi radunò le tribù guerriere slave nel nome del cristianesimo ortodosso. Stato e religione sono stati quasi sempre strettamente legati in Russia, tranne per il periodo sovietico.

2.     Guerra: la memoria della resistenza, prima contro Inglesi, Francesi e Piemontesi nella guerra del 1853-55, che costò la vita a 102.000 Russi, poi contro i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, ha contribuito a forgiare ulteriormente un forte senso di appartenenza comune;

3.     Cultura: la Crimea, destinazione prediletta non solo degli zar e dell’intellighenzia legata alla corte, ma anche di scrittori, poeti e artisti moderni (Alexander Puskin, Osip Mandelstam, Marina Tsvetaeva, Alexander Joesph Brodsky, Anton Chekhov, e molti altri) pullula di cultura russa.

L’annessione alla Russia rischia però di creare problemi alla minoranza tatara, circa il 12% della popolazione, che ha ancora vivo il ricordo della deportazione subita nel 1944.

Più che preoccuparsi della Crimea, ora l’Europa deve pensare alla stabilità del resto dell’Ucraina. La memoria della terribile guerra civile scoppiata all’indomani della prima guerra mondiale è indicativa di quali rischi può comportare la frammentazione ucraina.

L’aspetto linguistico

Particolarmente significativa è la questione dei diritti linguistici, che rischia di accendere nuovi scontri nel paese. Non dimentichiamo che Putin ha giustificato l’intervento militare in Crimea adducendo “la necessità di proteggere le minoranze linguistiche russe”. 

Il quadro linguistico in Ucraina è complesso. Nel censimento del 2001 il 17% della popolazione ha dichiarato di essere di etnia russa. L’83% dei Russi era concentrato nelle nove province sudorientali (vedi mappa), dove però gli Ucraini sono in maggioranza rispetto ai Russi – circa il 63% contro il 30%. Soltanto in Crimea i Russi sono maggioranza. La situazione linguistica è però diversa da quella etnica. In teoria l’Ucraina è uno stato bilingue, ma in realtà una parte del paese è monolingue russa. Durante il periodo zarista e sovietico l’Ucraina orientale fu sottoposta a un profondo processo di russificazione: l’ucraino venne bandito nelle grandi città, e intorno al 1950 non c’erano già più scuole ucraine. Oggi la maggior parte degli ucraini dell’Ovest dichiara di essere di madrelingua ucraina, mentre nell’Est il 51% della popolazione dichiara di essere di madrelingua russa. Secondo un sondaggio del Kiev International Institute of Sociology, l’81% della popolazione dell’Ucraina orientale dichiara di preferire il russo all’ucraino.

Le dinamiche linguistiche sono legate a doppio filo a quelle politiche: alle elezioni del 2010 il presidente Janukovyc ha ottenuto il 77% dei voti nel sudest dell’Ucraina, solo il 18% nel resto del paese – dove risiede il 53% dell’elettorato. Alle elezioni del 2004 Juscenko aveva ottenuto l’84% dei voti a ovest e meno del 20% a est. Entrambi i governi prodotti dalle due elezioni passate rappresentavano soltanto una metà della popolazione.

In epoca sovietica tutta la burocrazia adoperava la lingua russa, ma nel 1989, subito dopo l’indipendenza, il parlamento istituì l’ucraino come lingua ufficiale. Si trattò di un provvedimento soprattutto simbolico e largamente ignorato all’Est, che contribuì comunque alla rinascita delle scuole ucraine. Dal 1980 al 2011 il numero di scolari che ricevono istruzione in ucraino passò dal 50 all’82%. Allora le province sudorientali si opposero chiedendo che il russo, che parlavano ormai da generazioni, rimanesse lingua ufficiale. Nel 2012 Janukovyc accolse la richiesta reintroducendo il russo a livello regionale ed eliminando l’obbligo di utilizzare l’ucraino agli esami di ammissione all’università. Questo provvedimento toglieva in pratica all’ucraino lo status di lingua nazionale, fatto inaccettabile per gli Ucraini dell’ovest. La cancellazione della legge meno di 24 ore dopo la cacciata di Janukovyc ha gettato benzina sul fuoco, ed è stata letta dagli abitanti delle province sudorientali come un attacco ai loro diritti.

Per risolvere il problema potrebbe essere utile garantire agli individui il diritto di utilizzare la lingua preferita nei rapporti con l’autorità statale, e rendere obbligatorio lo studio della lingua ucraina. 

L’Europa e l’Ucraina: il ruolo della Polonia.

Le casse statali ucraine sono pressoché vote, il paese è vicino al collasso finanziario. Soltanto un pronto intervento da parte dell’UE e del FMI può evitare il disastro economico. L’Ucraina deve trovare maggiore stabilità, precondizione essenziale per una seria riforma delle istituzioni che debelli la piaga della corruzione e favorisca gli investimenti esteri.

In questa fase di avvicinamento fra Ucraina e UE, la Polonia sembra voler svolgere un ruolo fondamentale. Fin da quando è entrata nell’UE, Varsavia ha avviato una campagna di “europeizzazione” dei paesi dell’est e del Caucaso attraverso la creazione dell’Eastern Partnership Program, un progetto europeo ideato per stimolare legami politici ed economici con sei paesi fuori dall’Unione: l’Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Armenia, Azerbaijan, Georgia. Perché questo zelo? In primis per motivi geografici: trovandosi sulla frontiera orientale dell’UE, la Polonia cerca di rendersi amici i paesi vicini.

Ma c’è di più: Varsavia è convinta che Putin sogni la “Grande Russia” e che non veda l’ora di riconquistare l’egemonia perduta sui paesi dell’Est, e la Polonia cerca di creare un fronte comune con gli altri paesi che condividono lo stesso timore.

L’Ucraina ha bisogno di ritrovare la fiducia nel futuro, perché si sente vittima del disinteresse occidentale e incapace di tenere testa al gigante russo a Est. La Polonia è fra i paesi che meglio può capire le preoccupazioni ucraine: nella sua lunga storia è stata più volte vittima dell’espansionismo di Germania e Russia, tanto da scomparire dalle mappe geografiche in alcuni periodi. Questo non significa che il rapporto fra Ucraina e Polonia sia sempre stato roseo. Al contrario, le relazioni fra i due popoli sono spesso stati caratterizzati da grande violenza. Nel 981 d.C. Vladimiro il Grande, principe di Kiev, saccheggiò numerose città polacche inaugurando secoli di lotte per il controllo del territorio, caratterizzate da deportazioni forzate e massacri arbitrari di civili inermi. Anche recentemente, fra il 1942 e il 1944, circa 60.000 polacchi vennero massacrati nel Volyn, regione per lungo tempo contesa sul confine fra i due stati.

Ma ora è il momento di stabilizzare l’Ucraina per garantire stabilità all’Europa intera. Poi verrà il giorno di affrontare lo spinoso passato: come la Germania ha saputo affrontare con responsabilità gli orrori del periodo nazista, così sarà necessario discutere apertamente del passato per evitare possibili ricadute nell’odio interetnico.

La difesa dell’Europa orientale

L’Unione Europea di fatto non ha una politica di difesa propria. L’Europa è legata alla NATO; ma gli interessi difensivi specifici dell’Europa dell’est non sono più una priorità per l’Alleanza Atlantica. È una situazione che rende nervosi i paesi dell’Europa orientale che temono l’espansionismo russo, e temono anche che la Germania ed i paesi dell’Europa occidentale non saranno mai pronti a battersi contro la Russia in loro difesa. Anche in questo settore la Polonia potrebbe assumere un ruolo trainante. Il 14 marzo scorso ha firmato un accordo di collaborazione militare e difensiva con gli altri paesi del Gruppo di Visegrad: Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. È probabile che il Gruppo di Visegrad cercherà alleanze difensive anche con Romania e Bulgaria e con i Paesi Baltici, per creare una cintura di contenimento alla periferia russa, che potrebbe estendersi anche alla Georgia e all’Azerbaigian, ed avere il sostegno militare degli USA (vedi mappa a sinistra). Si tratta per ora soltanto di ipotesi che la dirigenza polacca sta vagliando, al fine di creare una barriera difensiva che non richieda necessariamente l’adesione della Germania e dell’Europa occidentale.

A cura di Davide Meinero

 

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