Contano le istituzioni,
non le elezioni

17/01/2014

Traduciamo questo saggio di Robert D. Kaplan per Strategic Forecasting, perché esprime un’opinione interessante.

 

Nel sud ovest degli Stati Uniti c'è un punto dove quattro stati si incontrano: si chiama Four Corners ed è segnato da una placca di bronzo incastonata nel granito. In pochi secondi si può fare il giro del monumento e attraversare così quattro stati diversi: Arizona, New Mexico, Colorado e Utah. L'esperienza è significativa: ognuno dei quattro stati ha identità e tradizioni proprie che sono demarcate da confini che però si attraversano senza controlli doganali né passaporti.

Sì, certo, si tratta di stati federati, non di stati indipendenti, dirà qualcuno. A mio avviso, questo non sminuisce, bensì aumenta l'eccezionalità di quel luogo. Come ha affermato il politologo americano Samuel P. Huntington, la genialità del sistema americano non sta tanto nella sua democrazia, quanto nelle sue istituzioni. Un sistema federale composto da cinquanta identità e apparati burocratici distinti, ma mai in conflitto tra di loro, non ha precedenti nella storia politica. A ciò si aggiungono migliaia di comuni e contee con una propria giurisdizione sovrana. Si tratta di un'organizzazione istituzionale unica, che permette di governare un intero continente ed è lontana anni luce dalla realtà dei molti paesi in via di sviluppo devastati da guerre o in balia del caos, dove ho lavorato come giornalista.

L'affermazione di Huntington è vera non solo per gli Stati Uniti d'America: in generale, la genialità della civiltà occidentale sta nelle sue istituzioni. La democrazia ne è sicuramente il fondamento, ma è anche vero che talvolta le istituzioni prescindono dalla democrazia: istituzioni forti e meritocratiche sono state sviluppate da dittature illuminate in Asia, ma non dalle deboli democrazie africane.

In Occidente le istituzioni sono parte integrante della società, tanto che tendiamo a darle per scontate. Ma, ripeto, ho lavorato e vissuto in posti dove le istituzioni non sono affatto la norma. Posti dove non basta qualche minuto di fila per ottenere documenti o certificati, ma dove bisogna essere pronti a corrompere il funzionario di turno o affidarsi a faccendieri. Diamo per scontata anche l'acqua corrente, o l'elettricità, ma in molti paesi si tratta di lussi che mancano perché mancano istituzioni competenti in grado di gestire le infrastrutture che dovrebbero fornire tali servizi. In Occidente paghiamo le tasse anche se conosciamo qualcuno che lavora all'Agenzia delle Entrate, ma in molti Paesi l'evasione è la norma. Le istituzioni che funzionano trattano tutti in modo equo e imparziale, ma in Russia, in Pakistan o in Nigeria non è così.

In America e in Occidente ci si lamenta dell'inefficienza delle ferrovie e del deterioramento delle infrastrutture, ma ci si deve rendere conto che i servizi offerti sono di livello elevatissimo se paragonato agli standard dei paesi in via di sviluppo.

Si può leggere la storia mondiale recente alla luce delle istituzioni, o della loro mancanza. Dopo il crollo del muro di Berlino, in Europa Centrale si sono formate democrazie ed economie sane e funzionanti. Le Repubbliche Baltiche, la Polonia, la Repubblica Ceca e Slovacca hanno affrontato problemi e difficoltà, ma se la sono cavata e in qualche caso sono diventati modelli di successo. Questi Paesi, infatti, vantano un elevato tasso di alfabetizzazione sia maschile che femminile e hanno riscoperto la loro solida cultura borghese, sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale e al comunismo. Alfabetizzazione e ceto medio sono il fondamento delle istituzioni di successo. Infatti le istituzioni per funzionare hanno bisogno di funzionari, che devono essere istruiti e in grado di lavorare in un ambiente impersonale e imparziale, tipico delle organizzazioni moderne.

Ai Balcani è andata peggio. Malgoverno e crescita mediocre affliggono la Romania dal 1989, Albania e Bulgaria non riescono a emergere da una situazione di semi caos, la guerra interetnica ha devastato gli stati della Jugoslavia negli anni Novanta. Bassi tassi di alfabetizzazione, ceto medio debole o inesistente, cristianesimo ortodosso orientale – che, essendo contemplativo, non incoraggia standard impersonali, al contrario del protestantismo o persino del cattolicesimo – sono tutti fattori che non hanno permesso lo sviluppo di istituzioni sane che avrebbero favorito la crescita economica e la stabilità politica della regione. Anche la Russia rientra in questa categoria. La presenza degli oligarchi indica che le istituzioni sono deboli e il sistema normativo e burocratico non adeguatamente sviluppati. In un contesto del genere, la corruzione diventa un'alternativa molto comune e più comoda rispetto ai metodi legali.

Per quanto riguarda il Medio Oriente, le primavere arabe sono fallite perché il mondo arabo è diverso sia dall'Europa Centrale che da quella Orientale. Il tasso di alfabetizzazione è basso, soprattutto tra le donne, non esiste una tradizione borghese, a parte il ceto commerciale di alcune città, e non ci sono istituzioni stabili a cui affidarsi dopo il crollo delle dittature. Di conseguenza in Nord Africa e nel Levante l'autoritarismo è stato sostituito dal potere delle tribù e delle sette − niente a che vedere con la società civile post comunista che ha favorito la stabilizzazione dell'Europa Centrale. Turchia e Iran, forti di un'urbanizzazione di successo e di migliori tassi di alfabetizzazione, si trovano in una categoria intermedia. Certamente all'interno del mondo arabo la situazione è sfaccettata. Le istituzioni egiziane sono relativamente solide, al contrario di quelle siriane e irachene. Di conseguenza l'Egitto è governabile, anche se con mezzi autocratici, mentre Siria e Iraq sembrano non esserlo affatto.

Infine, l'Africa. In molti Paesi africani, a mano a mano che ci si allontana dalla capitale lo stato svanisce. Le strade diventano mulattiere dissestate e si entra in una dimensione dove sono le tribù e i signori della guerra a farla da padroni. Una realtà in cui il tasso di alfabetizzazione è bassissimo e il ceto medio praticamente inesistente (benché in crescita), e dove le istituzioni sono per lo più assenti. Per valutare lo sviluppo in Africa non basta intervistare esponenti della società civile nelle capitali. Bisogna andare nei ministeri, nelle agenzie, mettersi in fila e osservare come – e se – funzionano.

Di fatto, le persone mentono a sé stesse e mentono ai giornalisti e agli ambasciatori. Non bisogna stare a sentire quello che dice la gente (soprattutto le élite), bisogna osservare il loro comportamento. Pagano le tasse? Dove mettono i risparmi? Ottengono i documenti di cui hanno bisogno facendo pazientemente la fila o usano altri metodi? È il comportamento di ognuno, non la retorica, che indica la presenza – o l'assenza – delle istituzioni.

Le elezioni si organizzano facilmente e sono meno indicative di quanto pensino i giornalisti o i politologi; si risolvono in 24-48 ore e spesso sono indette con l'aiuto di osservatori stranieri. Invece un ministero ben oliato deve funzionare 365 giorni all'anno. Lee Kuan Yew è uno dei grandi uomini del XX secolo perché a Singapore è riuscito a costruire le istituzioni e di conseguenza uno stato. Ciò dimostra che senza un ordinamento minimo non ci può essere libertà; le istituzioni sono lo strumento che permette di stabilire l'ordine.

Siccome le istituzioni si sviluppano in modo lento e organico, spesso non catturano l'attenzione dei giornalisti assetati di eventi sensazionali. Per questo talvolta i reportage non forniscono un quadro esauriente delle prospettive future di un dato paese. Analisti e imprenditori dovrebbero imparare a monitorare le istituzioni, non le singole persone.

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