L’assassinio salvifico
Il capro espiatorio

17/07/2013

Sappiamo dalla storia che le antiche società umane compivano sacrifici agli dei: a volte per invocare la grazia di un buon raccolto, tanti figli, buona salute, piogge stagionali, a volte per far cessare una situazione di pericolo, di disastri naturali, di violenza, di carestia. Per il pensiero magico −irrazionale − ogni sostanza interagisce con altre sostanze che abbiano le stesse caratteristiche evidenti. Il sangue è vita, dunque – magicamente − il sangue versato fa nascere altra vita, la moltiplica. Il sangue è liquido come l’acqua, dunque – magicamente − può richiamare la pioggia, e come l’acqua può purificarci; è caldo come i raggi del sole, dunque – magicamente − può attirare il calore del sole. Vita, acqua, purità, calore, tutto in una unica sostanza: quale miglior dono per gli dei? 

Anche il Signore della Bibbia preferisce i doni di sangue di Abele ai frutti di Caino. Sappiamo dalla Bibbia che gli Ebrei sacrificavano al tempio l’agnello maschio primogenito, in primavera. E che il sangue di un agnello sacrificato segnò le case degli Ebrei, perché fossero risparmiate dall’ultima piaga d’Egitto. Ancor oggi è tradizione che a Pasqua ebrei e cristiani mangino agnello.

Se grande è la potenza del sacrificio animale, il sacrificio umano è per le società antiche l’offerta più preziosa, il sangue più pregiato e potente. Soprattutto se è sangue di stirpe reale, come quello di Ifigenia nel mito che ha alimentato tanto pensiero e tanta arte dal tempo di Omero a oggi. Narra il mito che la flotta greca, guidata dal re Agamennone, non può salpare per Troia, perché bloccata in porto da una terribile tempesta. Calcante, l’indovino sacro, rivela che la tempesta è voluta dalla dea Diana, e che per placarla occorre sacrificarle la figlia di Agamennone, Ifigenia. Il padre chiama Ifigenia con l’inganno, dicendole che sono pronte le sue nozze con Achille. Nell’Agamennone, tragedia scritta nel V secolo a C., Eschilo fa dire al padre: “E dunque plachi il sacrificio i venti e sgorghi il sangue dalla vergine! Questo, con ira e furore, mi è forza desiderare, e così sia […].E immerse il collo nel collare della necessità”. Il coro commenta: “Le vie della saggezza Zeus aprì ai mortali, facendo valere la legge […] e così agli uomini anche loro malgrado giunge saggezza”. La saggezza sarebbe dunque la consapevolezza che disobbedire a un dio, come Agamennone aveva disobbedito a Diana, si paga con il sangue di un innocente.

Come reagisce la vittima? Euripide, che scrive Ifigenia in Aulide qualche decennio più tardi, così immagina le parole di Ifigenia alla madre: “Ora tutta l’Ellade immensa volge gli occhi a me e da me dipende la partenza della flotta e la rovina dei Frigi. […] Tutto ciò io salverò con la mia morte, e sarà benedetta la mia gloria di liberatrice dell’Ellade. […] Tu mi hai partorito per il bene di tutti gli Elleni, non di me soltanto”.  Oggi ci ripugna pensare che la “colpa” del padre venga lavata dal sangue dei figli, per volere divino. Ma nel mondo antico non era così. Per la vittima sacrificale era un onore essere scelta dal dio, tramite i suoi sacerdoti, indovini, profeti. L’onore che circonda la vittima è il riconoscimento del potere sovrannaturale concessole di raccogliere sul proprio capo le colpe altrui, ed espiarle.

Che caratteristiche ha la vittima sacrificale ? Illuminanti sono stati gli studi degli antropologi culturali degli ultimi 100 anni, da James Frazer in poi, ma soprattutto le profonde analisi di René Girard sul capro espiatorio e sul rapporto fra la violenza e il sacro, scritte circa quaranta anni fa. Girard chiama la vittima umana “capro espiatorio” perché ricopre il ruolo del capro nero negli antichi riti ebraici di espiazione.

Nel Levitico è scritto che il giorno dell’espiazione il gran sacerdote riceveva un montone e un vitello bianco da sacrificare a Dio, utilizzando gocce del loro sangue per purificare e vivificare la terra, e anche un capro nero. Il sacerdote confessava le colpe di Israele tenendo le mani sulla testa del capro nero, che veniva poi cacciato via e precipitato da una rupe, portando con sé tutte le colpe.

Girard identifica le caratteristiche ricorrenti delle persone “sacrificabili” nella storia delle società umane. Le possiamo raggruppare in quattro tratti essenziali:

1.       hanno segni evidenti di difformità dal resto del gruppo,

2.       non sono necessarie alla sopravvivenza del gruppo,

3.       hanno rango sociale estremo: o misero, o estremamente privilegiato,

4.       vivono con il gruppo, ma non ne fanno pienamente parte.

Girard spiega la ragione di queste caratteristiche, partendo dalla costatazione che i sacrifici umani vengono adottati da gruppi che stanno vivendo condizioni difficili, le quali alimentano l’ansia e la propensione a scoppi di violenza. Allora i capi del gruppo cercano un “sacrificabile”. Perché? Spiega Girard: “La società cerca di sviare in direzione di una vittima relativamente indifferente, una vittima ‘sacrificabile’, una violenza che rischia di colpire i suoi stessi membri, coloro che intende proteggere a tutti i costi […] perché si può ingannare la violenza soltanto nella misura in cui non la si privi di ogni sfogo, e le si procuri qualcosa da mettere sotto i denti”.

La violenza innesca un circolo vizioso di vendette e di violenze sempre crescenti finché scoppia la guerra civile e la società di spacca definitivamente. Ne abbiamo esempi ogni giorno. Per evitare la guerra civile le autorità possono deviare la violenza verso l’esterno – se  hanno un vicino debole da attaccare − o verso un “sacrificabile” interno. Scrive Girard: “Se gli uomini riusciranno tutti a convincersi che uno solo di loro è responsabile di tutta la mimesis violenta, se riusciranno a vedere in lui la ‘macchia’ che li contamina tutti, se saranno davvero unanimi nella loro credenza, tale credenza sarà confermata. […] Distruggendo la vittima sacrificale, gli uomini crederanno di sbarazzarsi del loro male”.  Sacrificabile” è qualcuno la cui morte non verrà vendicata, perciò non innescherà un nuovo ciclo di vendette e di violenza. Dunque una persona socialmente marginale, che porta dalla nascita un “segno” che la distingue, con la quale è difficile identificarsi. 

Gli Inca, ad esempio, sacrificavano giovani vergini sulle vette andine, identificandole prima dei riti di ingresso alla vita adulta, dunque prima che potessero avere figli e marito. Il segno che le distingueva era la loro grande bellezza, socialmente pericolosa perché poteva suscitare rivalità fra gli uomini e invidia fra le donne. Venivano trattate con grandissimi onori negli anni precedenti il sacrificio, in quanto “segnate” come proprie dagli dei fin dalla nascita. Questo toglieva alla famiglia ogni possibilità di vendetta. 

Gli Atzechi sacrificavano a Tlaloc, il dio della pioggia, i neonati che piangevano troppo. Le lacrime erano il “segno” che il dio li voleva nel suo cielo. In realtà piangere troppo significava che erano malati, o che pativano la fame, e che non sarebbero vissuti a lungo comunque. Per le famiglie era un onore che il dio li avesse scelti. Il loro sacrificio avrebbe garantito la caduta della pioggia, e avrebbe risolto un problema a tutti. Chi avrebbe voluto vendicare la loro morte?

Nelle città dell’antica Grecia storpi, matti o menomati, già segnati dalla natura come portatori di mali fisici o psichici, venivano tollerati e mantenuti ai margini della società. Ma in caso di calamità naturali o epidemie venivano curati, vestiti e nutriti riccamente, trattati con rispetto per un certo periodo, quindi fatti passare fra ali di folla che li percuotevano con fronde sulla testa per trasferire su di loro i mali che affliggevano la città. Quindi venivano cacciati fuori della città e uccisi. La città era purificata dei suoi mali. Nessuno avrebbe vendicato la loro morte.

Per Girard il prototipo del sacrificabile è Edipo. È segnato alla nascita: è zoppo, perché la madre lo aveva appeso − neonato − per i piedi nella foresta affinché morisse e non si avverasse la profezia sul suo futuro. È socialmente isolato, perché arriva da straniero, e si muove da un estremo all’altro della scala sociale: arriva come mendicante e diventa re sposando la regina vedova, dopo aver ucciso in una lite il re suo padre, senza riconoscerlo. È nato a Tebe da stirpe regale, ma nessuno lo sa e lui stesso si crede straniero. Non fa parte del popolo, dunque nessun tebano si identifica con lui fino a volerlo vendicare. Edipo ha un destino e una potenza sovrannaturale nel male e nel bene. A lui solo è dato di distruggere o salvare Tebe. Edipo infrange − senza saperlo − i tabù fondamentali di ogni società: uccide il padre e compie incesto con la madre. La peste che colpisce Tebe è attribuita alle sue colpe, inconsapevoli. Accecandosi e andandosene a cercare la morte salverà la città per la seconda volta. L’aveva già salvata dalla Sfinge al suo arrivo, sciogliendo i suoi enigmi.

Riti di trasferimento magico delle colpe su di un “capro espiatorio” sono ancor oggi praticati in molte società. Gli Yoruba dell’Africa occidentale − una delle popolazioni dell’attuale Niger e Benin − selezionano il loro Oluwo , che significa re, ogni anno. Dopo averlo onorato e venerato per un anno, durante una processione rituale trasferiscono pubblicamente su di lui, per contatto fisico, colpe personali ed energie negative. La sua successiva uccisione pubblica oggi è simbolica. Un tempo invece era reale. L’Oluwo scelto ogni anno sostituiva come vittima sacrificale il vero re, che continuava a vivere e a regnare.

In Tibet per l’anno nuovo si celebra un rito di espiazione per invocare la cessazione di malattie, disgrazie, morti e ingiustizie, con la cacciata del “re degli anni”. Mascherato e pitturato di nero e bianco, il “re” designato va in giro per alcuni giorni, agitando una coda di yak sulla testa degli abitanti, per raccogliere la loro cattiva fortuna. L’ultimo giorno della festività il re degli anni viene cacciato dalla città. Un tempo moriva solo fra le montagne, con tutte le colpe dei tibetani raccolte su di sé, e i monaci identificavano un nuovo “re degli anni”, che sarebbe stato onorato per un anno intero, fino al successivo anno nuovo.

Nell’Africa sub sahariana si sacrificavano gli albini. Segnati dal colore della pelle, fanno parte della società ma sono tenuti a distanza e temuti come dèmoni. Fino al 1900 si sacrificavano pubblicamente in occasione di calamità. Sotto il sole dell’equatore non sarebbero comunque vissuti a lungo, e la loro vita sarebbe stata una lunga malattia. La credenza nella potenza del sangue dei “sacrificabili” è viva anche oggi. Nell’Africa sub-sahariana, in occasione di elezioni politiche o partite di calcio, teppaglie superstiziose vanno a caccia di albini per far amuleti con parti del loro corpo, pensando di ottenere così il potere di vincere o far vincere la propria parte. Con il loro sangue e parti del loro corpo si crede si poter anche spegnere le eruzioni vulcaniche. Le braccia di questa donna sono state tagliate da qualcuno che voleva spegnere l’ultima eruzione vulcanica in Camerun.

E in Europa? Nel Cristianesimo Gesù Cristo è il capro espiatorio definitivo, il cui sangue salva l’umanità intera. Infatti l’ Agnello di Dio ha raccolto sul proprio capo le colpe dell’umanità per lavarle col proprio sangue. Gesù ha tutte le caratteristiche che Girard identifica nei “sacrificabili”. È uomo fra gli uomini, ma ha poteri sovrannaturali, che manifesta nei miracoli. La sua nascita è segnata da portenti naturali: la cometa guida i magi alla sua presenza. È povero e senza potere, ma è acclamato come re e figlio di Dio: riveste sempre posizioni sociali estreme. 

Il Cristianesimo porta la fine dei sacrifici e dei “capri espiatori’” nella storia d’Europa? Le società umane non cambiano rapidamente. Nei periodi più difficili il ricorso all’uso di capri espiatori è continuata. I “sacrificabili” nella storia dell’Europa cristiana sono state le streghe, gli eretici e – soprattutto – gli ebrei. Furono uccise come streghe per lo più donne anziane, in tempi in cui le donne morivano di parto prima di raggiungere i trent’anni. La loro longevità veniva attribuita a poteri magici o satanici. Non più in età fertile, senza la forza di lavorare i campi, erano un impiccio per la famiglia. Altre streghe erano giovani ma sterili e di carattere troppo indipendente, oppure vedove molto belle che piacevano troppo ai mariti di altre donne.   Anche gli eretici hanno le caratteristiche identificate da Girard nei sacrificabili: sono cristiani, ma un po’diversi. La loro predicazione è pericolosa, possono diventare potenti. Ma se si pentono mentre muoiono diventano testimoni potenti della vera fede. Se li si uccide quando sono ancora pochi, nessuno li vendicherà.

Gli Ebrei d’Europa hanno tutte le caratteristiche del “capro espiatorio” secondo Girard: sono il popolo di Cristo ma non sono cristiani. Dal loro seno è venuta la salvezza dell’umanità, segno di grande potenza, ma non l’hanno riconosciuta. Sono tenuti appositamente in posizioni sociali estreme: alcuni diventano consulenti di re, grandi medici, alchimisti, banchieri, ma collettivamente sono poverissimi e senza diritti. Perché siano anche “segnati” esteriormente vengono obbligati a portare un segno distintivo sull’abito e a vivere nei ghetti.

Per fortuna tutto questo è storia superata, oggi nessuno chiede la morte delle minoranze. O forse non è così? Quali sono i sentimenti popolari da noi, oggi?  Molti ancora oggi nutrono la credenza − espressa o inconscia − che esistano persone o gruppi così potenti da alimentare segretamente i mali del mondo, la cui morte potrebbe eliminare automaticamente tutti i mali. Le teorie complottiste sono la variante moderna della credenza nel potere sovrannaturale del capro espiatorio.   

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