Il tramonto dell'ordine politico post-ottomano
in Medio Oriente

10/12/2012

Dall’Egitto alla Siria alla Giordania, i resti del Medio Oriente post-ottomano stanno tentando di sopravvivere alla marea islamista. Siano essi di stampo nasseriano o monarchico, i modelli adottati dai paesi di questa regione durante il secolo scorso si sono rivelati obsoleti e stanno subendo mutazioni più o meno dirette. 

In Egitto, l’esercito ha dimostrato di essere ancora l’arbitro della situazione, con cui qualunque altro potere deve fare i conti, ma non è più il centro del potere. L’esercito è intervenuto a calmare i disordini originati dalla decisione del presidente Morsi di sospendere il potere giudiziario, ma soltanto tre giorni dopo la richiesta formale del presidente e dopo negoziazioni dietro le quinte, così che tutti hanno ora ben chiaro che i Fratelli Musulmani non sono in grado di gestire il potere, e neppure la piazza, senza il sostegno dei militari. Ma i militari non hanno più la possibilità di governare il paese, come hanno fatto da Nasser a Mubarak. Un qualche nuovo equilibrio deve essere faticosamente cercato e il braccio di ferro fra i due poteri sarà probabilmente di lunga durata. 

In Siria, i ribelli erano ormai alle porte di Damasco mentre il Segretario di Stato americano Hillary Clinton incontrava il suo omologo russo per discutere di come evitare che le parti in conflitto impieghino armi chimiche. Dal punto di vista di Mosca, la via da seguire per stabilizzare il paese e allo stesso tempo garantire una significativa partecipazione russa nella regione è quella di mantenere quanto più possibile l’apparato statale, compreso un ruolo di primo piano per la minoranza alawita. L’unica modifica che deve subire il sistema, per quanto concerne la Russia, è la rimozione del clan al Assad attraverso una sorta di amnistia. Dal canto loro, Stati Uniti e Turchia stanno cercando di evitare che lo stato collassi al punto da essere coinvolti in una campagna militare in Siria, ma cercano anche di promuovere un maggior peso per la maggioranza sunnita, che limiterebbe l’influenza iraniana e (avvantaggiando la Turchia) incoraggerebbe i Fratelli Musulmani. In altre parole, eventuali adeguamenti del modello militare della repubblica siriana restano in discussione e potrebbero andare ben al di là del controllo dei negoziatori in questione.

In Giordania, il regno hashemita sta lottando per resistere a concessioni che possano potenziare le capacità della già molto attiva opposizione, guidata dai Fratelli Musulmani, che ora chiede apertamente la caduta della monarchia. Dopo il riconoscimento della Palestina come stato osservatore alle Nazioni Unite, il re di Giordania Abdullah II ha visitato la West Bank per dimostrare il suo sostegno al leader di Fatah e presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas. Questa visita incarna al meglio l’obsolescenza dell’era post-ottomana. Nonostante il riconoscimento da parte dell’ONU, Fatah e la sinistra laica del periodo nasseriano hanno da tempo perso la loro credibilità sulla scena politica palestinese, mentre Hamas e i suoi alleati islamici stanno facendo passi da gigante e i Fratelli Musulmani sono protagonisti di una vera e propria ascesa a livello regionale, in risposta allo sfilacciamento degli antichi regimi. Nell’ultima crisi di Gaza, Abbas non è nemmeno riuscito a pretendere di parlare a nome di Gaza nel tentativo di disinnescare il conflitto. Eppure Abbas e Abdullah continuano a scambiarsi visite, senza sapere − o forse negando anche a loro stessi − che ormai non sono che resti del passato.

 

 

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