I razzi iraniani
Hamas e Israele

16/11/2012

Dietro l’attuale azione israeliana su Gaza c’è la necessità di eliminare i missili telecomandati ed i razzi Fajr-5, forniti dall’Iran, che Hamas ha ammassato a Gaza. Si tratta di armi troppo pericolose per essere lasciate nelle mani di una organizzazione terroristica non statale quale Hamas è ed è sempre stata.

Alle 11 di sera dello scorso 23 ottobre la fabbrica Yarmuk di Khartoum, in Sudan, è stata bombardata, presumibilmente dall’aviazione israeliana. Nel deposito di Yarmuk gli Iraniani ammassano armi, missili e razzi, che poi vengono contrabbandati attraverso il Sinai a Gaza (vedi qui) e vengono forniti anche ad altri gruppi armati nella regione. Questa collaborazione Iran-Sudan per armare Hamas non è nuova: già a gennaio 2009 Israele aveva bombardato un convoglio di 20 autocarri che trasportavano missili e razzi iraniani dal Sudan verso il Sinai, destinati ad Hamas. 

L’incursione del 23 ottobre ha fatto capire ad Hamas che Israele era a conoscenza delle spedizioni di armi in corso da Yarmuk verso Gaza, e ha risposto chiedendo la mediazione egiziana per una tregua con Israele il 25 ottobre. Fra Gaza e Israele infatti c’è una guerriglia di confine continua. Decine di razzi a breve gittata vengono lanciati da Gaza su Israele ogni settimana: non fanno notizia, i giornali non ne parlano – è routine. Gli israeliani reagiscono colpendo ogni tanto le posizioni da cui i razzi vengono lanciati. Trattandosi di uno scambio continuo e di lunga durata di ostilità di bassa intensità, non se ne parla: ma lo stato di guerra è continuo. Per questo ha senso negoziare una tregua tramite l’Egitto.

Ma Israele sapeva che Hamas era riuscita a far arrivare razzi e missili iraniani a Gaza. Uno degli scopi dell’uccisione mirata del capo militare di Hamas, Jabari, lo scorso novembre, era indurre Hamas a venire allo scoperto e usare i razzi iraniani, rivelando al mondo – e ai droni d’Israele – dove sono nascosti. Lo scopo di Israele è infatti identificare i depositi di queste armi ed eliminarle – se possibile – a terra, prima che possano essere impiegate su larga scala.

Peraltro da Gaza negli ultimi giorni la frequenza e la violenza delle ostilità erano andata aumentando: il 10 novembre scorso missili anticarro avevano colpito una jeep israeliana, e i lanci di razzi si erano intensificati di molto. Sembrava un invito ad Israele ad attaccare, forse da parte di gruppi salafiti e jihadisti imbaldanziti, sfuggiti al controllo di Hamas.

L’uccisione di Jabari, il 14 novembre, ha fatto capire ad Hamas che Israele è deciso ad agire per trovare e distruggere le armi iraniane a Gaza. Hamas ha dunque intensificato gli attacchi a Israele, anche con i razzi Fajr-5, perché non può perdere la leadership dei gruppi armati; ha però subito chiesto l’intervento dell’Egitto per negoziare e raggiungere una tregua. Hamas non vuole che Israele continui l’attacco fino alla distruzione delle armi iraniane accumulate. Soprattutto teme un’operazione di Israele a terra, che minerebbe l’autorità e la credibilità di Hamas fra la popolazione.

Nel frattempo a Teheran gli ayatollah gioiscono per gli ultimi sviluppi: l’attuale aumento della tensione devia l’attenzione internazionale dal conflitto in Siria, dove Bashar al-Assad (alleato della Repubblica Islamica) vacilla. Teheran può dimostrare ad Hamas – che nell’ultimo periodo aveva preferito prendere le distanze dall’Iran, isolato a livello internazionale, per avvicinarsi ai Fratelli Musulmani – di avere ancora il controllo sui gruppi jihadisti della Striscia (come Jihad Islamico Palestinese) e rimescolare le carte in tavola.

L’esplosione di un conflitto rischia di causare una rottura fra le cellule dei Fratelli Musulmani in Egitto, Giordania e Siria, che si trovano fra due fuochi: pur odiando Israele, non hanno i mezzi per reggere un confronto militare diretto; rifiutando di soccorrere i ‘fratelli’ palestinesi rischiano però di attirarsi l’astio dell’opinione pubblica araba.

 

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