Egitto ed Etiopia
si contendono le acque del Nilo

06/11/2012

A marzo del 2011, nel bel mezzo dei moti che avrebbero portato alla fine di Mubarak in Egitto, l’Etiopia ha annunciato la costruzione della diga ‘Rinascimento’, una delle dieci più grandi al mondo,  sul Nilo Blu. I lavori causeranno sicuramente una diminuzione del flusso d’acqua  a valle, con potenziali danni alle  economie dei paesi più a Nord – i due Sudan e l’Egitto.

Il problema della spartizione delle acque del Nilo è di vecchia data. In base a un accordo del 1959 firmato da Egitto, Sudan e Regno Unito, fino a pochi anni fa il Cairo era l’unica capitale ad avere autorità sulla gestione delle acque del Nilo. Ma le cose stanno cambiando rapidamente. L’Etiopia, da cui proviene l’85% delle acque del Nilo, ha rimesso in discussione la validità dell’accordo del ’59 e chiede che ne venga redatto uno nuovo che tenga in considerazione gli interessi di tutti i paesi bagnati dal fiume.   

Ma non è l’unico paese ad avanzare rivendicazioni: tutti i paesi lungo il Nilo hanno creato un forum, l’Iniziativa per il Bacino del Nilo, nel 1999. Nel 2010 Etiopia, Kenia, Uganda, Ruanda e Tanzania – cui dovrebbero presto aggiungersi Burundi e Repubblica Democratica del Congo – hanno utilizzato il forum per firmare un accordo per utilizzare il 90% delle acque ora destinate a Sudan ed Egitto, distribuendole in modo più equo fra i vari paesi.

Gli obiettivi dell’Etiopia

La costruzione della diga, che in tutto avrà una capacità di circa 6.000 megawatt (3 volte la diga Hoover degli USA, per fare un paragone), è già iniziata:  Addis Abeba con un tempismo perfetto ha sfruttato i disordini egiziani per iniziare i lavori,  pur senza avere la copertura finanziaria.   La Cina pareva interessata all’investimento, ma considerata la delicatezza della questione ha fatto un passo indietro.  Addis Abeba spera ora di finanziare il progetto attraverso l’emissione di obbligazioni da vendere ai propri cittadini.

L’Etiopia finora sfruttava solo l’1% delle acque del Nilo perché può contare su altri corsi d’acqua. Ora ha però ha bisogno di costruire la diga sia per l’agricoltura domestica che per i propri bisogni energetici – senza contare che la produzione di energia della Diga Rinascimento permetterà ad Addis Abeba di esportare l’energia in eccesso nei paesi limitrofi – Sud Sudan, Sudan, Kenia e Djibouti, collegati alla stessa rete energetica.

La reazione egiziana

Il 99% della popolazione egiziana vive sulle sponde del Nilo, le cui acque vengono sfruttate per irrigare i campi circostanti. Il flusso  delòle acque continua a diminuire anno dopo anno a causa del degrado ambientale, con gravi rischi per una popolazione che cresce  velocemente – e che dovrebbe raddoppiare da qui al 2050. 

Il Cairo teme una ulteriore diminuzione del flusso durante la fase di riempimento della diga – processo che richiederà 2-3 anni vista la capienza di 67 miliardi di metri cubi. Non c’è nessuna garanzia che  il flusso ritornerà ai livelli attuali dopo il riempimento, perché l’Etiopia ha già pianificato progetti di irrigazione che utilizzeranno le acque degli affluenti del Nilo.  

L’Egitto non ha molti mezzi per bloccare l’attuale progetto:

·      può aumentare la pressione diplomatica, ad esempio offrendo prestiti e servizi finanziari ai paesi sul Nilo nella speranza di farli desistere – come avvenuto con Uganda, Sudan, Sud Sudan;

·      in caso di fallimento, potrebbe cercare di riallacciare i legami con i gruppi militanti che combattono contro il governo etiope (come il Fronte Popolare per la Liberazione dell’Eritrea o il Fronte Popolare di Liberazione Tigrai, di cui si è servito in chiave antietiope negli anni ’70 e ’80) sfruttando le divisioni etniche in seno alla società. Si tratta però di una strada pericolosa e improbabile.

A cura di Davide Meinero

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