La crisi dell'eurozona
e le crepe politiche dell'Europa

26/07/2012

La crisi che travaglia l’eurozona sta mettendo in risalto fratture politiche non soltanto fra gli stati europei, ma anche all’interno degli stati, aumentando il rischio di instabilità politica, man mano che aumenta i rischio di collasso finanziario.

L’Unione Europea ha sempre favorito politiche autonome regionali attraverso la creazione e gestione di fondi regionali europei. La creazione della moneta unica aveva poi favorito l’indebitamento finanziario diretto di comuni e regioni sul mercato internazionale, evitando i controlli del governo centrale. Ora che il meccanismo finanziario si è inceppato, i governi locali debbono ricorrere ai governi centrali perché li salvi dalla bancarotta. I governi centrali, che debbono a loro volta ridurre le spese e l’indebitamento, demolendo ampie fette di welfare per i propri cittadini, ora debbono provvedere anche alle emergenze delle regioni autonome e dei comuni. Succede in Spagna, dove le tre regioni autonome di Valencia, Mursia e Catalogna hanno scadenze per 15 miliardi di euro nella seconda metà del 2012, che non sanno come pagare. Succede in Italia, dove la sola Sicilia ha debiti in scadenza per 5,3 miliardi di Euro, e anche molte città sono grandemente indebitate. Succede in  Portogallo, dove il debito  dei municipi è di 12 miliardi di euro, pari al 7% del PIL dello stato, secondo gli ultimi calcoli. Gli stati stanno mettendo in atto meccanismi di salvataggio delle proprie regioni e delle proprie città, ma questo aggrava la loro necessità di essere a loro volta ‘salvati’ dall’Europa, che però non riesce a prendere decisioni operative certe.

Questa situazione provoca da una parte l’accentuarsi di controlli da parte dei governi centrali, dall’altra il rifiuto delle regioni più ricche di accollarsi i debiti delle regioni più povere. Questo non succede soltanto in Italia, dove le regioni del nord mal sopportano di pagare le spese delle regioni del sud, ma anche in Germania, dove la Baviera e lo Hesse hanno deciso di contestare di fronte alla Corte Costituzionale federale la legittimità dell’attuale meccanismo di trasferimento delle risorse dalle regioni più ricche alle regioni svantaggiate, messo in atto dopo l’unificazione per rendere più omogenee le condizioni di vita fra i cittadini dell’est e dell’ovest.

Altre preoccupazioni emergono fra gli stati d’Europa anche per la difesa. L’Estonia ha appena chiesto all’UE di creare una unità di pronto intervento militare a fini difensivi. I paesi baltici – e  la Polonia - hanno molto timore del riemergere della Russia come grande potenza. L’Estonia fa parte della NATO, ed è entrata a far parte del Gruppo di Combattimento Nordico, insieme alla Svezia, alla Norvegia (che non fa parte dell’UE, ma teme la Russia), alla Finlandia e all’Irlanda. L’Europa non ha una propria capacità di pronto intervento militare: in Libia nel 2011 Italiani e Francesi hanno dovuto utilizzare a strutture di comando e sistemi tecnologici e logistici degli USA, altrimenti non sarebbero potuti intervenire. Ma mentre gli stati dell’Europa occidentale possono permettersi il lusso di trascurare le questioni militari gli stati dell’Est Europa vogliono sentirsi difesi dal possibile espansionismo russo.

La Russia nel frattempo - oltre a costruire un organismo di difesa comune (CSTO, vedi mappa a lato) con alcuni stati dell’ex Unione Sovietica - sta costruendo l’Unione Doganale, con l’intenzione dichiarata di costituire un’Unione Euroasiatica entro il 2015, sulla falsariga dell’Unione Europea, quasi a far da contraltare all’Unione Europea. Non è un processo semplice, tuttavia: gli stati dell’ex unione sovietica temono l’egemonia russa. L’Ucraina sino ad ora si è tenuta in bilico fra il sì ed il no, cerca di prender tempo e di ottenere il massimo delle concessioni possibili sul prezzo del gas prima di prendere una decisione sull’unione doganale. Lo stesso sta facendo la Moldavia. In Asia  Centrale il Kirghizistan ha aderito subito, ma gli altri stati puntano i piedi. L’Uzbekistan recentemente è persino uscito dal CSTO, di cui faceva parte. Anche nel Caucaso nessun paese si è apertamente dichiarato in favore dell’unione doganale con la Russia, neppure l’Armenia, che è il paese più legato ai Russi nella regione.  

La crisi finanziaria e strutturale dell’UE spaventa gli stati dell’est non soltanto per le gravi conseguenze economiche, ma anche sul piano della difesa: hanno bisogno di sviluppare l’economia, di  svincolarsi dalla dipendenza dalla Russia per le forniture di energia, e di avere un ombrello di difesa sicuro, che la NATO non sembra più in condizione di garantire, e che l’Europa non ha mai pensato di costruire.

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