Iran: sanzioni
ed espansione

09/07/2012

Si discute da mesi delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale alla Repubblica Islamica, che avrebbero causato una ‘grave crisi economica’ e portato il paese sull’orlo del collasso. È davvero così?

La politica estera dell’Iran sembrerebbe confermare il contrario: Teheran continua ad opporsi a ogni trattativa sul nucleare e minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz per opporsi alle sanzioni e far lievitare il prezzo del barile e moltiplica le attività terroristiche in Africa.

La verità è che le sanzioni hanno effetti limitati:

1)   le navi iraniane continuano a vendere petrolio all’estero tramite navi che battono bandiera diversa pronti ad aiutare l’Iran in cambio di lauti compensi – Malta, Cipro, Bahamas, Hong Kong, Seychelles, Singapore e altri;

2)   alcuni paesi – Cina, Giappone, India e altri ancora – chiudono un occhio: gli fa comodo poter continuare a importare petrolio a prezzi scontati aggirando le restrizioni internazionali – senza contare che prima dell’approvazione delle sanzioni hanno continuato a importare molto più petrolio del necessario per aumentare le scorte e proteggersi da eventuali rincari del greggio.

La realtà è amara: le trattative sono fallite, l’Iran ha ottenuto carta bianca. Gli USA vogliono evitare l’intervento militare – sono stati assorbiti troppo a lungo nei vari conflitti mediorientali, e ora preferiscono concentrarsi sull’ascesa della Cina – e pur di mantenere il flusso di petrolio dal Golfo Persico potrebbero lasciare all’Iran la bomba atomica.

Anche la decisione di abbandonare l’Iraq e i Mojahedin del Popolo al loro destino (vedi link) sembrano confermare questa politica. 

LA RETE DELL’IRAN IN AFRICA

Teheran cerca di far breccia nell’instabile contesto africano aumentando gli investimenti per comprare i governi al potere oppure infiltrando terroristi per rovesciarli e rimpiazzarli con regimi amici.

Dopo anni di intensa attività, il regime degli ayatollah può ora contare sull’appoggio di numerosi governi africani che votano a favore della Repubblica Islamica alle Nazioni Unite, ostacolando gli sforzi della comunità internazionale volti a frenare il suo programma nucleare. 

Kenya e Iran

Il 20 giugno 2012 a Nairobi (Kenya) sono stati arrestati due terroristi iraniani, Sayed Mansour Mousavi e Ahmad Abolfathi Mohammad, in possesso di 15 kili di materiale esplosivo. L’arresto ha portato al ritrovamento di un deposito di un potente esplosivo, l’RDX. Lo stesso giorno a Mombasa è stato sequestrato un container pieno di esplosivo proveniente dall’Iran.

I due agenti iraniani volevano compiere attentati contro obiettivi israeliani, inglesi e sauditi all’interno del paese. Pochi giorni dopo l’ambasciata statunitense ha diramato un comunicato invitando il personale americano a lasciare Mombasa entro il 1 luglio per evitare il rischio attentati.

Con la scusa degli investimenti Teheran continua a infiltrare agenti in Kenya – dove ha firmato 13 accordi economici solo nel 2009. L’Iran ha offerto a Nairobi una linea di credito di 16 miliardi  per la costruzione di case, dighe, ospedali e per ‘assistenza umanitaria’. In cambio ha aumentato le esportazioni – il cui volume è attualmente pari a 32 volte le importazioni!

La Repubblica Islamica punta al controllo di Mombasa – dove vive una comunità musulmana – centro strategico da cui può avere accesso al mercato africano. Per questo ha aperto una nuova rotta commerciale fra il porto di Bandar Abbas e Mombasa, dove la Mezzaluna Rossa iraniana (l’equivalente della Croce Rossa) ha intenzione di aprire un policlinico, dopo averne già aperti due nella capitale.

Nigeria e Iran

A ottobre 2010 le autorità nigeriane hanno sequestrato tredici container in porto, contenenti armi di ogni tipo – razzi, fucili e pezzi d’artiglieria – probabilmente destinati ai ribelli del Movimento delle Forze Democratiche di Casamance (MFDC), che combattono una guerriglia al confine fra il Gambia e il Senegal.

Pochi mesi dopo il Senegal e il Gambia hanno reciso ogni relazione diplomatica con Teheran in segno di protesta. 

A cura di Davide Meinero

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