L'ENI fuori
dal Kazakistan?

30/05/2012

Domani, 29 maggio 2012, inizierà a Milano il processo contro il colosso energetico ENI. L’Agip KCO, filiale di ENI, è accusata di aver corrotto le autorità kazake per non essere espulsa dalla partecipazione  alla messa in opera e al  successivo sfruttamento del  giacimento di Kashagan, nel mar Caspio (mappa sopra).

Secondo l’accusa nel 2007 l’Agip KCO avrebbe erogato 20 milioni di dollari a Timur Kulibayev, zar dell’energia del paese nonché genero del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, per rimanere in Kazakistan.  Il CEO di Eni, Paolo Scaroni, rischia ora una condanna per corruzione internazionale.

L’ENI è stata una delle prime grandi aziende energetiche a operare nei paesi dell’ex URSS. La presenza italiana in Kazakistan risale al 1992. Il 13 % delle riserve di greggio  dell’ENI sono rappresentate dai giacimenti del Kazakistan, di cui metà dai giacimenti di Kashagan. ENI lavora inoltre allo sviluppo del ricco giacimento di Karachaganal.

ENI è riuscito ad avere una posizione di rilievo  nel mercato energetico kazako grazie alla relazione speciale fra l’ex premier Berlusconi e il presidente Nazarbayev, che gode di poteri pressoché assoluti nel paese. Le accuse di corruzione risalgono al 2009, ma Berlusconi come primo ministro ha utilizzato la sua influenza per bloccare l’azione legale.

Lo sviluppo del giacimento di Kashagan, che  ha 38 miliardi di barili di petrolio, è fondamentale per il futuro del Kazakistan. Attualmente il giacimento è controllato da un consorzio composto da ENI, Total, Exxon, Shell, la kazaka KazMunaiGaz (con una quota di partecipazione del 16,8%), ConocoPhillips (con l’8,4%) e Inapex (7,5%).

Il giacimento di Kashagan è di difficilissimo sviluppo: è ghiacciato per la maggior parte dell’anno, e le enormi lastre di ghiaccio che si formano in prossimità delle torri di trivellazione  si abbattono sulla piattaforma di estrazione quando tira il vento, spesso a oltre 90km/h. In teoria l’estrazione di petrolio da Kashagan sarebbe dovuta iniziare nel 2005, ma a quanto pare solo a dicembre si avranno i primi risultati, e l’apertura definitiva è prevista per il 2013 secondo. Frattanto il costo del progetto è passato da  $24 a $46 miliardi.

Nel 2009 Astana, visto che  l’ENI non aveva raggiunto gli obiettivi prefissati, voleva espellere l’azienda italiana dal progetto, ma grazie ai rapporti privilegiati con il governo Berlusconi optò per l’inclusione dell’ENI nel nuovo consorzio, la North Caspian Operating Company (NCOC), insieme a nuovi partner.

L’ENI fu costretta a cedere parte delle licenze agli altri membri (Shell, Exxon e Total) ma le fu concesso di restare, occupandosi di altri aspetti del progetto. Ora che il progetto inizierà a   dar frutti e a rendere, l’ENI ha tutto l’interesse a rimanerci. A quanto pare però non riesce a mantenere gli impegni nei tempi previsti, e gli altri membri del consorzio diventano ogni giorno più insofferenti.

Il processo di Milano potrebbe rappresentare un punto di svolta: se la corte proibirà all’ENI  di procedere con i lavori a Kashagan, il governo kazako potrebbe rimettere in discussione le relazioni con Scaroni e con l’Italia. Scaroni e Monti sono stati di recente in Kazakistan per ribadire ancora una volta l’interesse dell’Italia a rimanere nel progetto, ma la situazione è compromessa. Shell, che gode dell’appoggio di Tony Blair, neoconsigliere del presidente kazako, ha già assicurato al presidente di avere i mezzi per subentrare a ENI e lavorare in modo più rapido ed efficiente.

È quindi probabile che l’ENI, ormai priva della protezione politica che l’aveva tenuta nel progetto, sia prima o poi costretta ad abbandonare Kashagan.  

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