Libano
storia esemplare del Medio Oriente

24/01/2010

Il 19 gennaio 2011 il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal ha annunciato di rinunciare a tentar di mediare fra le fazioni libanesi, aumentando il timore che il Libano sia di nuovo sull’orlo di una guerra civile.

L’Arabia Saudita da anni cerca di trovare un accordo con la Siria per arginare l’influenza iraniana nel Levante senza rinunciare alla propria ‘fetta’ di potere in Libano. La stabilità del Libano è infatti garantita da un patto temporaneo fra Riyadh e Damasco, in base al quale la Siria si occupa di tenere la situazione sotto controllo.

Questa è una notizia recente sugli avvenimenti in Libano, diffusa da una fonte affidabile come Strategic Forecast. Si noti che i cittadini libanesi e il loro governo non vengono neppure considerati: il Libano è ufficialmente uno stato autonomo dal 1943, in realtà è un insieme di clan e di gruppi religiosi manovrati armati e istruiti costantemente alla guerra e alla ribellione contro le istituzioni da potenze esterne: oggi Siria, Iran Arabia Saudita - in passato anche da Israele, che dal 1984 si è tirato totalmente fuori dalle faide interne libanesi, e dall’Egitto di Nasser.  

Nei libri di storia la guerra civile libanese viene convenzionalmente fatta iniziare nel 1975 e finire nel 1990. In realtà già negli anni ‘50 il Libano fu un coacervo di forze l’una contro l’altra armate.  Nel 1958 ci fu una vera e propria guerra civile violenta, chiamata la ‘guerra dei Pasha’. I governi e i Presidenti libanesi non poterono mai contare sulla piena lealtà dell’esercito: l’esercito libanese è sempre stato un insieme di milizie che obbediscono prioritariamente al clan o al protettore politico del momento (come oggi Hezbollah obbedisce all’Iran) e sostengono il governo libanese soltanto se è nelle loro mani.  

Manca ai Libanesi, così come ai Palestinesi o agli Yemeniti e anche a buona parte della popolazione irachena e pakistana, la tradizione e la determinazione di essere un unico popolo che vuole autonomia politica ed economica. L’appartenenza clanica, ideologica o religiosa è sempre vincente rispetto alla convinzione di essere un unico popolo che vuole essere libero e autonomo nel proprio territorio. L’ingerenza continua e massiccia di potenze esterne nel determinare colpi di stato e guerre civili in questi paesi è possibile perchè questi popoli non si sentono prioritariamente ‘libanesi’ o ‘iracheni’, o ‘yemeniti’, o ‘pachistani’, così come gli Inglesi si sentono inglesi, i Francesi si sentono francesi, gli Spagnoli si sentono spagnoli. O come i cittadini degli USA si sentono Americani, benché le loro famiglie siano giunte da centinaia di diversi paesi e culture.

Noi occidentali abbiamo difficoltà a comprendere questa realtà. Ancora condizionati da una mentalità inconsciamente razzista ereditata dall’epoca coloniale, tendiamo a pensare che NOI - se volessimo e se non fossimo egoisti - potremmo risolvere i problemi del Medio Oriente, e che i ‘poveri’ Palestinesi o Libanesi non possono farcela da soli. Ce la prendiamo con Israele pensando che, trattandosi di un popolo coeso e di uno stato con istituzioni forti, di cultura occidentale, sia onnipotente, e che se i più deboli non ce la fanno a liberarsi dalla guerra e dalla povertà, nonché dalla corruzione che sempre accompagna entrambe, la colpa debba essere di Israele (l’eterno pregiudizio antiebraico dell’Europa cristiana ha un forte peso in questa visione, che è  più frequente – anche se certamente non predominante – fra chi vede se stesso come un Cristiano osservante piuttosto che fra i laici).

Dimentichiamo che Israele è un piccolissimo paese di 7,5 milioni di abitanti assediati da circa 300 milioni di persone che lo considerano un nemico da spazzar via dalla regione. Come decine di milioni di buoni Cristiani in Europa si prestarono negli anni ‘30 e ‘40 a perseguitare e uccidere doverosamente qualche milione di bambini e di adulti ebrei totalmente inermi e poverissimi, convinti che fossero potenti e ricchi cospiratori al servizio del male, così nell’Europa cristiana è oggi diffusa la visione del minuscolo stato di Israele – sempre sotto assedio – come un potentissimo stato imperialista e conquistatore, che nega (chissà perché) persino la casa ai poveri Palestinesi. L’assurdità di queste convinzioni non sfiora le buone coscienze europee ancora obnubilate da diciassette secoli di paura dell’Ebreo come agente del male, bevitore di sangue, propagatore della peste, e tante altre bazzecole del genere, che nemmeno la puntuale condanna (quasi) universale della Shoah ha potuto far scomparire del tutto.[1]

Il Vicino Oriente è – come sempre dalla fine dell’epoca coloniale - pronto ad accendersi in guerre  civili. Il Medio Oriente è travagliato dalle violenze interne - dall’Iraq al Pakistan. Il resto del mondo arabo musulmano è quasi ovunque a rischio di violenza interna. Il Sudan, la Somalia e l’Etiopia sono luoghi di stragi interne quasi ininterrotte. Noi occidentali possiamo ben poco – quasi nulla – per far cessare le stragi. 

Potrebbe essere utile mettere esplicitamente questi popoli di fronte alle proprie responsabilità nel non saper fermare le stragi e le guerre civili, in ogni consesso internazionale?  

Potrebbe essere utile la creazione di un ONU delle democrazie rispettose della vita e della libertà dei propri cittadini, che si arroghi il diritto di considerare le proprie istituzioni come migliori rispetto alle istituzioni dei paesi che sono spesso in guerra contro una parte dei propri cittadini?

Laura Camis de Fonseca  

[1] Questo tipo di ‘Buon Cristiano’ non ha dubbi: non ha bisogno di studiare la realtà storica, non ha bisogno di andare a documentarsi anche in Israele. Gli basta andare nella Betlemme araba per essere riconfermato nella sua certezza che Israele ha torto e che gli Ebrei sono cattivi. Non ha bisogno di studiare l’antigiudaismo cristiano e i suoi stretti rapporti con l’ideologia nazista assassina: gli basta andare ad Auschwitz a vedere quanto erano cattivi i nazifascisti, nati chissà da dove all’improvviso nel 1920 e fortunatamente tolti di mezzo dalla Resistenza. E al testimone della Shoah sopravvissuto ai campi di sterminio, che ha poi trovato rifugio in Israele, ha l’idiota spudoratezza di chiedere ‘ma perché ora voi trattate così i Palestinesi?’ Nel suo candore non si sente minimamente spinto a cercar di capire la radice della persecuzione e della strage europea degli Ebrei, ed ora del pregiudizio europeo contro Israele, che è la continuazione dello stesso.  

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