Cosa accade alla periferia della Russia
situazione a fine aprile 2010

10/05/2010

Uzbekistan

Dopo il colpo di stato nel vicino Kirghizistan l’Uzbekistan teme che i disordini possano estendersi nel proprio territorio. I rapporti di Tashkent con la Russia sono stati tutt’altro che amichevoli negli ultimi anni. L’Uzbekistan difende fieramente la propria indipendenza, e cerca di affermarsi come paese leader nell’Asia centrale. A causa dei confini arbitrari – tracciati a tavolino da Stalin alla fine degli anni ’20 – occorre un forte regime autoritario per tenere unito il paese. Ma l’autoritarismo ha generato un certo malcontento fra la popolazione. Il presidente Islam Karimov controlla il paese con il pugno di ferro: durante la rivolta di Andijan del 2005 le forze di sicurezza massacrarono centinaia di manifestanti. Nel maggio del 2009 si verificarono nuove manifestazioni antigovernative. Il governo uzbeko sospetta che la Russia abbia fomentato le proteste del 2009 per tastare il terreno, anche se non ha prove per dimostrarlo.   L’Uzbekistan è un paese frammentato in cui i singoli clan hanno intessuto contatti con uomini d’affari, mafiosi locali, trafficanti di droga, politici  corrotti e islamisti. I clan si oppongono al potere di Karimov, ma finora non hanno mai avuto l’occasione – né la forza – di ribellarsi al regime.

 

Tajikistan

Il Tagikistan, che confina con il Kirghizistan, non rappresenta una minaccia per la Russia, che continua a mantenere sei basi militari nel paese. Tuttavia Dushanbe non è del tutto accomodante con il Cremlino, e potrebbe trasformarsi in un possibile bersaglio di Mosca. Il Tagikistan ha vissuto una drammatica guerra civile fra il 1992 e il 1997, quando i clan delle regioni centrali e settentrionali imbracciarono le armi contro il presidente, alleato con i clan del Nord e dell’Ovest del paese. Anche oggi il Tagikistan è tutt’altro che unito, e il governo deve costantemente gestire gli equilibri fra i clan per evitare che insorgano nuove violenze. Quindi se la Russia volesse approfittare della situazione, potrebbe facilmente servirsi dei servizi segreti per stringere alleanze con i clan regionali e rimodellare l’ambiente politico del paese a proprio favore.     In Tagikistan inoltre esiste un movimento islamico militante che intrattiene legami con i ribelli afgani, e spesso non è facile fare distinzioni fra jihadisti e clan regionali, che lavorano in collaborazione.

 

Kazakistan

Il Kazakistan è sempre stato un fedele alleato della Russia, e dopo essere entrato nell’unione doganale ha ulteriormente legato l’economia kazaka a quella russa. Il presidente kazako Nursultan Nazarbayev ha schiacciato ogni opposizione e, anche se di tanto in tanto la popolazione scende in piazza a manifestare contro il governo, non esiste un movimento capace di minare la stabilità del paese. Proprio come in Kirghizistan, le divisioni sociali e geografiche fra Nord e Sud fanno sì che una qualsiasi potenza esterna possa sfruttare la situazione per fomentare l’instabilità nel paese. La parte settentrionale del paese è abitata dalla minoranza russa, che costituisce quasi il 25% della popolazione totale, mentre il Sud del paese è abitato da Russi, Kirghisi, Kazaki, Uzbeki e Uiguri ed è quindi più difficile da controllare. Se Mosca volesse destabilizzare il governo locale, potrebbe far leva su una di queste minoranze – soprattutto sui Russi del Nord.

 

Turkmenistan

Il Turkmenistan continua a intrattenere rapporti con tutte e tre potenze regionali: Russia, Iran e Cina. Il governo turkmeno agisce in modo pragmatico e sa di non poter rinunciare ai rapporti con la Russia. Mosca è piuttosto irritata perché Ashgabat ha stretto accordi con la Cina, l’Iran e l’Occidente. Il Turkmenistan vive in uno stato di costante timore perché metà popolazione vive sul confine con l’Iran, l’altra metà vive dall’altra parte del paese oltre il deserto, al confine con l’Uzbekistan. La popolazione è poi suddivisa in clan difficili da controllare. Il Turkmenistan è consapevole di questa debolezza essenziale, perciò si preoccupa ogni volta che accade qualcosa nelle sue vicinanze – ad esempio la guerra in Iraq, la guerra russo-georgiana o la rivoluzione in Kirghizistan – perché teme di essere il prossimo obbiettivo. La Russia esercita molta influenza sui clan turkmeni: ad esempio è in costante contatto con il clan Barkhan, che esporta energia e vende armi. In passato il Cremlino ha contribuito a garantire un certo equilibrio fra i vari clan, specialmente dopo la morte del presidente Saparmurat Niyazov nel 2006, ma potrebbe sempre servirsi del suo potere per fomentare  violenza e destabilizzare il paese.

 

Georgia

Dopo la Rivoluzione Rosa del 2003 la Georgia è stato uno dei paesi più filoccidentali fra le ex repubbliche sovietiche. Questo rappresenta un problema per Mosca, che non può permettersi di lasciare mano libera ad un paese che si trova in una posizione così strategica, all’ingresso del Caucaso. È probabile che nei prossimi mesi il Cremlino aumenti gli sforzi per riportare Tbilisi nella propria sfera d’influenza.   I vertici politici georgiani, e specialmente il presidente Mikhail Saakashvili, sono fortemente antirussi. Tuttavia recentemente è emersa una nuova forza che − pur non essendo filo-russa −ha intenzione di assumere una posizione più pragmatica nei confronti del Cremlino. Sono tre le figure che potrebbero prendere in mano le redini dell’opposizione: l’ex primo ministro Zurab Nogaideli, l’ex ambasciatore georgiano alle Nazioni Unite Irakli Alasania e l’ex portavoce parlamentare Nino Burjanadze. Nogaideli negli ultimi mesi si è recato a Mosca più volte ed ha anche stretto un’alleanza fra il suo partito e il partito del primo ministro russo Vladimir Putin. Anche Burjanadze, figura piuttosto popolare in Georgia, ha incontrato Putin, e Alasania, attualmente candidato a diventare sindaco di Tbilisi, ha parlato della necessità di assumere una posizione più pragmatica nei confronti della Russia.   Durante l’insurrezione del Kirghizistan i leader dell’opposizione georgiana hanno parlato di ‘necessità di sollevarsi contro il governo di Saakashvili’. Mosca vuole far nascere una coalizione capace di estromettere Sakaashvili dal potere, ma non ha molte possibilità di fomentare la rivolta dato che nessuno dei politici georgiani è veramente filo-russo.

 

Azerbaijan

L’Azerbaigian negli ultimi tempi ha cercato di migliorare i rapporti con la Russia per proteggersi da altre potenze regionali come Turchia e Iran, e dall’Occidente. Finora Baku, che può contare su grande abbondanza di energia, ha sempre avuto una posizione conciliante nei confronti di Mosca.   Nel 2005 la popolazione scese in piazza e diede quasi vita ad una rivoluzione, ma la polizia reagì prontamente e soffocò la rivolta sul nascere. La Russia ha ancora contatti con i gruppi di opposizione e con i movimenti giovanili, di cui potrebbe servirsi per destabilizzare il governo.   I paesi baltici   I paesi baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – occupano parte della Pianura Nordeuropea e sono vicini alla seconda più grande città russa, San Pietroburgo. Purtroppo però sono piccoli e deboli, e per questo devono necessariamente ricorrere ad una potenza esterna per ottenere protezione.   Sulla carta i paesi baltici paiono al sicuro, dato che sono entrati nella NATO e nell’UE, ma la Russia detiene tuttora importanti strumenti di controllo. Il Cremlino potrebbe infatti fare leva sulle minoranze etniche russe che vivo all’interno di Estonia (25% della popolazione) e Lettonia (30% della popolazione), e sulla presenza di partiti filo-russi per fomentare il caos. La Lituania è invece relativamente al sicuro, dato che ospita una minoranza russa esigua – pari al 9% della popolazione. La Russia sa che né i paesi baltici né la Georgia avranno mai governi filo-russi per questioni storiche, e per questo cerca di renderli innocui e neutrali. Questo non comporta che questi stati rinuncino ai rapporti con l’Occidente, ma che riconoscano alla Russia il potere di veto su decisioni politiche, specialmente in ambito militare.

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