Un punto di vista insolito
Quello di David Frum

24/03/2010

È quello di David Frum, analista dell’American Enterprise Institute e della CNN, che sul suo sito FrumForum pubblica il 15marzo 2010 un articolo dal titolo: “Peace process prolongs Mideast war” che traduciamo qui di seguito.   “Il vicepresidente Joe Biden ha emesso una ‘condanna’ mentre il Segretario di Stato Hillary Clinton ha fatto la voce grossa. Gli Stati Uniti sono davvero preoccupati che l’annuncio dei nuovi insediamenti in Israele possa mandare in fumo il processo di pace.   Ma lasciatami avanzare un’opinione poco ortodossa: la principale causa dell’instabilità mediorientale è proprio il processo di pace. So bene che questo non è un punto di vista convenzionale, ma provate ad ascoltarmi ugualmente.   Secondo i miei calcoli dal 1936 ad oggi sono scoppiati almeno 10 conflitti fra Ebrei e Arabi. E ciascuno dei conflitti è terminato più o meno nella stessa maniera – o una potenza straniera imponeva il cessate il fuoco oppure Israele interrompeva le operazioni militari subito prima che il cessate il fuoco entrasse in vigore.   Tutti questi conflitti sono iniziati nello stesso modo, o con un nuovo attacco (come nel 1956 o 1967) o con una violazione dell’armistizio da parte degli Arabi.
Ma questo meccanismo è del tutto inusuale. Di solito le guerre terminano quando una delle due parti, non avendo più forza sufficiente per combattere, accetta i termini che aveva rifiutato in precedenza perché l’alternativa – cioè continuare a combattere – sembra ancora peggiore.
 
Dubito che gli Ungheresi in passato abbiano ceduto con grande piacere metà del loro territorio ai vicini – Romania ed ex Yugoslavia. E anche i Boliviani hanno un brutto ricordo della guerra contro il Cile, quando persero la costa pacifica (1884). E tuttora in Indonesia sono in molti a ritenere che Timor Est debba tornare sotto la giurisdizione di Giacarta. Tuttavia ognuna di queste nazioni ha dovuto accettare la realtà, per quanto fosse amara.  
 
Nel conflitto israelo-paelestinese è avvenuto esattamente l’opposto.
 
Nel 1956 l’Egitto ha perso per la prima volta il Sinai, ma gli è stato immediatamente restituito. Poi l’ha perso una seconda volta nel 1967, ma è di nuovo riuscito a riaverlo indietro (questa volta in maniera ‘formale’, dopo la firma di un trattato di pace).
La Siria ha perso il Golan nel 1967, poi nel 1973 ha attaccato nuovamente Israele e l’ha nuovamente perso, ma tuttora si ostina a chiederne la restituzione.
I Palestinesi si sono opposti alla partizione del 1947, hanno scatenato una guerra, hanno perso e nonostante ciò  tuttora chiedono di essere risarciti per le loro perdite.
 
È proprio come se il gestore di un casinò fermasse il gioco quando uno dei clienti inizia a perdere alla roulette, promettendogli anche di restituirgli il denaro se la sorte lo abbandonasse. Ma quale giocatore siederebbe ancora al tavolo da gioco?
 
Io capisco perfettamente il comportamento dei governi occidentali, i quali sono convinti che senza uno sforzo per mantenere la calma in Medio Oriente il mercato del petrolio potrebbe entrare in crisi e le ideologie radicali potrebbero diffondersi rapidamente nel mondo islamico. Ma purtroppo i loro sforzi invece di migliorare la situazione l’hanno aggravata ulteriormente.
 
Immaginiamo ora un’altra storia.
 
Supponiamo che il mondo occidentale non fosse intervenuto nel 1949, che la guerra di indipendenza di Israele fosse durata più a lungo e i due contendenti fossero andati fino in fondo. In tal caso gli eserciti arabi sarebbero stati azzerati e avremmo assistito alla fuga di lunghe colonne di rifugiati oltre il Giordano. In tal caso la guerra non sarebbe terminata con un armistizio, ma con una resa. I rifugiati palestinesi avrebbero dovuto trovare una nuova casa altrove, proprio come quelle centinaia di migliaia di Ebrei cacciati dalle loro ex case nei territori arabi. Tale esito avrebbe convinto gli Arabi che la guerra non era un’opzione valida e li avrebbe dissuasi dall’imbracciare di nuovo le armi contro Israele.
 
Immaginiamoci ora un altro scenario.
 
Nel 1990 in ex Yugoslavia scoppiò una terribile guerra, da cui sorsero numerosi stati.  Migliaia di persone abbandonarono le loro case, e furono commesse atrocità indicibili, ma fortunatamente il conflitto a un certo punto cessò. I rifugiati trovarono rifugio nelle loro nuove case, e anche se gli ex nemici si guardano ancora con un certo sospetto la violenza è quasi scomparsa e probabilmente non ritornerà.
 
Supponiamo invece che la comunità internazionale avesse deciso che i membri di una fazione in guerra – ad esempio i Serbi – avessero il diritto di ritornare nelle proprie case d’origine. Supponiamo che il mondo fosse stato disposto a pagare miliardi di dollari ai rifugiati a condizione che non volessero  fermarsi definitivamente nel territorio in cui si erano trasferiti.  E supponiamo ancora che la comunità internazionale fosse stata disposta a tollerare attacchi terroristici da parte dei Serbi contro Croati, Bosniaci, Kosovari perché  ‘reagivano a un’ingiustizia’.
 
Oggi avremmo la pace nell’ex Yugoslavia?
 
Sicuramente i mediatori internazionali agiscono con le migliori intenzioni e dispongono di una pazienza invidiabile, ma invece di contribuire a porre fine al conflitto al contrario continuano ad alimentarlo. Il processo di pace, che finora non ha fatto altro che mitigare i dolori della sconfitta araba, ha condannato il mondo arabo – e in primis i Palestinesi – a una guerra senza fine.
 
Ogni guerra deve finire – e finire male almeno per uno dei due contendenti. Ed è ora che questa guerra abbia fine."

Traduzione: Davide Meinero
 

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